C’è sempre in primo piano il porto di Gioia Tauro quando si parla di narcotraffico, non per niente lo scalo calabrese, strategico per posizione geografica e per volumi di merci in transito, anche nel 2020 ha consolidato la sua centralità nelle importazioni di cocaina, con le forze di Polizia che solo in quell’area hanno sequestrato circa il 45% del volume complessivo dei sequestri in ambito nazionale.
Una porta d’ingresso al centro del Mediterraneo che fa gola a tutte le principali ’ndrine dei diversi “mandamenti” sulla quale aveva provato a mettere le mani anche il gruppo di Umberto Bellocco smantellato nei giorni scorsi dalla maxi operazione coordinata dalla Procura antimafia reggina e condotta dalla GdF. Gli inquirenti sostengono che Bellocco e il suo fedelissimo Giuseppe Cotroneo avessero in mente di sfruttare il “know-how” di un portuale (che non risulta coinvolto nell’indagine) in materia di esfiltrazione di carichi di droga in arrivo al porto per valutare l’inserimento nel lucroso business.
Il loro coinvolgimento nell’attività di traffico di stupefacenti inizia a delinearsi proprio quando, grazie al servizio di videosorveglianza avviato nei pressi dell’abitazione di Cotroneo, in via XXX dicembre a San Ferdinando, veniva registrata la presenza del dipendente della Medcenter che (dopo il suo arresto avvenuto nel 2015) risulta aver riportato una condanna a 12 anni nell’ambito dell’operazione “Santa Fè” per il reato di associazione a delinquere finalizzata al traffico internazionale di stupefacenti.
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