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'Ndrangheta a Reggio: "A Molinetti spettava un “locale”. E l’impegno non fu rispettato"

La ricostruzione del collaboratore di giustizia Roberto Moio. "Dopo la guerra erano state fatte delle promesse dai Tegano: a Gino toccava Santa Caterina. Poi però non se ne fece nulla..."

Fuori dalle dinamiche di ’ndrangheta dal 2010, da quando ha avviato al collaborazione con la Procura antimafia di Reggio, Roberto Moio è da sempre un «pentito credibile». Una patente di affidabilità che gli inquirenti gli hanno sempre riconosciuto in virtù della parentela eccellente con i fratelli Giovanni e Pasquale Tegano, dei quali era nipote, e dell'ammissione dell'intraneità alle cosche di Archi quale collettore delle tangenti con ruolo attivo nei gruppi di fuoco della seconda guerra di mafia.

Roberto Moio è stato sentito nel processo “Epicentro” sui temi d'accusa che si intrecciano con gli anni di militanza mafiosa. La domanda del Pubblico ministero Walter Ignazitto (come si evince dal verbale di udienza del 21 ottobre) è diretta: «Allora, signor Moio, Lei diceva: “Dopo la guerra, erano state fatte delle promesse”. Volevo capire: queste promesse che cosa riguardavano? E se ce n’erano fatte a Gino Molinetti, che cosa riguardavano?». Roberto Moio ricorda bene quel periodo storico: «Ma guardi, dottore, un pochettino... allora, praticamente a Gino toccava una zona. Onestamente, a Gino Molinetti gli toccava una zona, la promessa, insomma, all'epoca che c'era, e ‘ste zone, sa, bene o male, non lo so, non è stata mai data a lui, no? Tipo Santa Caterina, una zona che lui voleva prendere, insomma, giustamente, va’, posizione per bene, insomma, come si meritavano, no?, sto parlando a livello ‘ndranghetistico, no?».

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