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Reggio, il boss Denaro indagato anche per omicidio Scopelliti

Nel 2019 avviso accertamenti tecnici da Dda

Il giudice Antonino Scopelliti

Il boss di Cosa Nostra Matteo Messina Denaro, arrestato stamattina a Palermo, è indagato anche dalla Direzione distrettuale antimafia di Reggio Calabria. Il suo nome compariva, assieme a quello di alti 16 indagati tra boss e affiliati a cosche mafiose siciliane e calabresi, in un avviso di accertamenti tecnici non ripetibili notificato nel 2019 dal procuratore Giovanni Bombardieri e dall’aggiunto Giuseppe Lombardo e dal pm Stefano Musolino, nell’ambito dell’inchiesta sull'omicidio del sostituto procuratore generale della Corte di cassazione Antonino Scopelliti, ucciso il 9 agosto del 1991 in località «Piale» di Villa San Giovanni mentre faceva rientro a Campo Calabro.

In passato, su quel delitto c'era stato un processo che si era concluso, nel 2000 in Corte d’Appello e nel 2004 in Cassazione, con l’assoluzione di numerosi boss siciliani tra cui Bernardo Provenzano, Nitto Santapaola, Giuseppe e Filippo Graviano. A distanza di anni, l’inchiesta sull'omicidio del giudice Scopelliti è stata riaperta grazie alle dichiarazioni del collaboratore di giustizia Maurizio Avola che ha fatto ritrovare in provincia di Catania il fucile che, secondo la Dda, avrebbe sparato al magistrato che, in Cassazione, avrebbe dovuto rappresentare l’accusa al maxiprocesso a Cosa nostra. L’indagine è ancora in corso e oltre a Matteo Messina Denaro, sono coinvolti altri sei siciliani, i catanesi Marcello D’Agata, Aldo Ercolano, Eugenio Galea, Vincenzo Salvatore Santapaola, Francesco Romeo e Maurizio Avola. Sono 9, invece, i calabresi indagati: Giuseppe Piromalli, Paquale Tegano, Antonino Pesce, Giorgio De Stefano, Vincenzo Zito, Pasquale e Vincenzo Bertuca, Santo Araniti e Gino Molinetti. Tra gli iscritti nel registro degli indagati c'era anche il boss di Archi Giovanni Tegano che, però, è deceduto l’anno scorso in carcere.

«Non provo niente. Sarò impopolare, forse cinica. Sicuramente esausta». Così in un messaggio su Facebook Rosanna Scopelliti, figlia di Antonio Scopelliti, il magistrato ucciso dalla 'ndrangheta e cosa nostra il 9 agosto 1991. "Quello là, il mafioso, finalmente si troverà esattamente dove deve essere. Dove sconterà la sua pena. Dove è giusto che sia - scrive Scopelliti, che è stata anche parlamentare e assessore per la legalità a Reggio Calabria - si porterà dietro i suoi segreti, i volti dei morti (quelli che ha guardato in faccia, quelli che ha colpito alle spalle), i lamenti, le preghiere. Si porterà dietro le lacrime dei vivi, dei parenti delle sue vittime, quelle stesse lacrime con cui cerchiamo ogni giorno di colmare il vuoto di chi è stato strappato alla vita dalla tracotanza prepotente del mafioso in questione».

«Continuerà a convivere con una coscienza muta, a cui chiedere redenzione sembra quasi un ossimoro. Continuerà a tacere. Peccato, perchè mi piacerebbe ascoltare le sue parole su mio padre. Mi piacerebbe sapere se è vero che era accanto a chi lo ha ucciso, se ne ha visto il volto prima di privarmi per sempre del suo sorriso. Mi piacerebbe sapere se c'era, se ha deciso, se ha ascoltato. Quante domande - scrive ancora sui social Rosanna Scopelliti - si porterà dentro la soddisfazione di essere sfuggito per anni allo Stato, l’amarezza di aver perso la sua guerra. E in quegli occhi senza anima si vede solo un vecchio criminale esaltato per anni come il «super latitante» mandante ed esecutore di centinaia di delitti, trascinato alla fine in manette dai Carabinieri». "Non fa paura, il mafioso, quasi pena, forse, ai più misericordiosi, a chi conosce il perdono. A me, oggi, quella figura ammanettata, lascia indifferente. Mi rende orgogliosa invece il lavoro dei Carabinieri del ROS e di tutti coloro che hanno avuto una parte attiva nell’arresto del mafioso. A loro va il ringraziamento più sincero. La gratitudine di una figlia, di una mamma, di una semplice italiana - concllude Scopelliti - Siamo tutti uguali di fronte alla legge. Siamo uguali di fronte alla giustizia. Uguali di fronte al Giudizio. Ma qualcuno ci arriva più sporco di altri, più vigliacco, più privo di dignità, più sconfitto. Più morto».

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