Reggio

Domenica 24 Novembre 2024

Gestione disinvolta delle carceri a Reggio: il teste Capparella in controesame

Il carcere di Arghillà

La parola adesso passa alle difese. Udienza di rilevante importanza quella in programma domani in Tribunale (il collegio è presieduto da Greta Iori, a latere Margherita Berardi e Marco Cerfeda) nel processo per la presunta gestione irregolare delle carceri di Reggio, la casa circondariale “Panzera” di via San Pietro e l'istituto penitenziario di Arghillà. Sul banco degli imputati (con la posizione più delicata e maggiormente gravata da ipotesi di reato) l'ex direttrice, Maria Carmela Longo: secondo i Pm «pur non facendone parte» concorreva con le sue decisioni professionali «al mantenimento e rafforzamento della ’ndrangheta» attraverso l'accoglimento di richieste dei detenuti ristretti presso il “Panzera”, circuito di alta sicurezza, consentendogli «un'illimitata possibilità di circolazione e di comunicazione anche con l'esterno». Ed ancora - proprio nel lungo periodo in cui è stata direttrice, dal 30 maggio 1991 al 18 febbraio 2019 - per gli inquirenti sarebbe stata la dottoressa Longo ad individuare i detenuti da autorizzare all’espletamento del lavoro intramurario e quelli da indicare al Magistrato di Sorveglianza per l'espletamento del lavoro esterno «esclusivamente tra quelli “graditi” ai referenti delle cosche mafiose». Ed inoltre, come si legge nella richiesta di rinvio a giudizio, a determinare «contatti quotidiani tra i lavoranti e i detenuti del circuito AS3 che ricevevano dai primi informazioni provenienti da altri detenuti e dall'esterno», oltre a «beni non consentiti» ed in qualche caso lettere e biglietti. Con ipotesi di reato più leggere, secondo le contestazioni dei Pubblici ministeri Stefano Musolino e Sabrina Fornaro, in Tribunale anche un medico dipendente Asp, incaricato presso il carcere reggino, Antonio Pollio, per aver redatto un certificato medico attestando falsamente di aver sottoposto a vista medica la detenuta Caterina Napolitano (la terza imputata) diagnosticando “coliche renali” «per evitare che partecipasse come teste a un udienza in Tribunale». Leggi l'articolo completo sull'edizione cartacea di Gazzetta del Sud - Reggio

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