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Reggio, la storia di Carmelo Gallico. Tredici anni di processo e ancora nessuna "verità"

La Corte di Cassazione per la quarta volta ritiene infondata l’accusa di associazione

Per la quarta volta, la Corte Suprema di Cassazione ritiene infondate le accuse mosse nei confronti di Carmelo Gallico per il reato di partecipazione ad associazione mafiosa e, in accoglimento dei ricorsi presentati dagli avv. Francesco Petrelli, del Foro di Roma, e Davide Barillà, del Foro di Reggio, annulla la condanna emessa dalla Corte d’appello a novembre del 2021.
La vicenda ha preso avvio a giugno del 2010 con l’operazione “Cosa mia”, che ha portato in carcere tutti i componenti della famiglia Gallico, compreso lo stesso Carmelo: sarebbe stato lui a dirigere da Brescia un sodalizio criminoso, impartendo ordini e direttive agli associati in Calabria. Sottoposto da subito al 41-bis, la misura cautelare è stata impugnata dai difensori davanti al Tribunale del riesame, che l’ha rigetta. Nel febbraio 2011, il ricorso è giunto alla Suprema Corte di Cassazione ed è stato lo stesso procuratore generale a chiedere l’accoglimento del ricorso dei difensori per assoluta mancanza di gravi indizi di colpevolezza nei confronti di Carmelo Gallico, con annullamento senza rinvio della misura cautelare che lo teneva in carcere. La richiesta fu pienamente condivisa e accolta dai giudici supremi, che restituirono immediatamente la libertà a Gallico.

A Barcellona, però, all’antivigilia di Natale dello stesso anno, il nuovo arrestato: l’accusa era sempre di essere a capo dell’associazione mafiosa radicata in Calabria. È ricominciata la trafila dei ricorsi e dei processi: il Tribunale del riesame, sulla linea della decisione della Cassazione, ha annullato la misura cautelare per il più grave reato di associazione mafiosa ma Gallico è rimasto, tuttavia, in carcere al regime di 41-bis per un reato secondario. Il giudizio di primo grado, celebrato con rito abbreviato davanti al gup, lo ha visto condannare a 30 anni di reclusione. L’appello ha ridimensionato le responsabilità e la pena, escludendo il ruolo di capo e promotore e altre aggravanti. E si è ritornati così in Cassazione, dove il pg ha chiesto ancora che la sentenza di condanna venisse annullata senza rinvio per assoluta mancanza di gravi indizi di colpevolezza, così come richiesto dai difensori.

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