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La cocaina dalle "famiglie" dell'Aspromonte ai boss di Palermo

Lo stoccaggio e l’organizzazione del trasporto, tramite fidati e collaudati corrieri, gli ingenti quantitativi di cocaina che mensilmente giungevano in Sicilia, si materializzavano hanno accertato dagli investigatori del Gico della Guardia di Finanza di Palermo, in Calabria, alle falde dell’Aspromonte, dove esercitano il loro potere i più importanti clan della criminalità organizzata calabrese. Tra le 21 persone (una è irreperibile) accusate, a vario titolo, di associazione per delinquere, traffico e spaccio di sostanze stupefacenti e altri reati minori, destinatarie di altrettanti provvedimenti restrittivi in carcere emessi dal gip del Tribunale di Palermo, Lirio Conti, nell’ambito della vasta operazione antidroga “Cagnolino”, ci sono tre reggini, due di Platì e uno di Casignana. Si tratta del 42enne Giuseppe Barbaro (nato il 7 dicembre 1980), del 32enne Pasquale Barbaro e del casignanese Rocco Pizzinga, 49 anni.
Il vasto traffico di droga, secondo gli investigatori delle Fiamme Gialle e i magistrati antimafia, partiva dalla Calabria e arrivava in Sicilia. Viaggi costanti, 10 chili al mese che andavano a rifornire le “piazze” del mandamento mafioso di Villagrazia e Santa Maria del Gesù di Palermo (l’ex “regno” del capomafia Stefano Bontade eliminato nel corso della guerra di mafia dai corleonesi di Totò Riina). Al centro del traffico, appunto, le “famiglie” dell’area di Platì e dintorni.

Le indagini avrebbero acceso i riflettori su un gruppo criminale, con base operativa nel capoluogo siciliano, diretto da due fratelli palermitani, figli di uno storico esponente del mandamento mafioso di Villagrazia/Santa Maria di Gesù. Sarebbero stati in affari da anni con una famiglia calabrese, coinvolta nella gestione del narcotraffico nella provincia di Reggio legata da vincoli di parentela con esponenti di spicco di un clan aspromontano, che avrebbe garantito il sistematico approvvigionamento di grossi quantitativi di stupefacenti.

L’attività investigativa avrebbe, come detto , consentito di ricostruire accordi per la fornitura di almeno 10 chilogrammi di cocaina al mese, che avrebbe generato un giro d’affari stimabile in circa 10 milioni di euro all’anno. La droga, stoccata in depositi dislocati in provincia di Reggio, veniva trasportata su gomma lungo la tratta Reggio-Messina-Palermo, occultata in diversi carichi di copertura (nel fondo di cassette piene di mandarini) o in sofisticati doppifondi creati nelle auto dei “corrieri”, accessibili mediante aperture elettro-meccaniche.

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