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Reggio, le continue tensioni tra clan e rom. Tra furti d’auto e “regali” per riaverle

I rapporti tra esponenti della cosca Rosmini e la comunità di Modena e Ciccarello. «La sentenza aveva enfatizzato la pratica del "cavallo di ritorno" per dimostrare che capo e i suoi accoliti erano “padroni” del territorio»

Il clan Rosmini da una parte, le gang dei nomadi dall’altra. Come emerge nelle motivazioni della sentenza “Cemetery boss” non era sempre facile la convivenza nei rioni Modena, Ciccarello e Pio XI. Anzi, spesso, l'odioso fenomeno dei furti di autovetture, specialità criminale degli esponenti rom, innescava momenti di tensione. Sentimenti di vita quotidiana per l'esercizio del potere mafioso esercitato con piglio autoritario da capi e gregari delle 'ndrine, e sul fronte opposto le bande di nomadi capaci di forzare, mettere in moto e far sparire una macchina in meno di una manciata di minuti, che non risparmiavano nemmeno vittime eccellenti, tra familiari dei capiclan ed amici degli esponenti delle cosche. E se, come accertato dagli inquirenti, la restituzione avveniva puntualmente, e molto spesso senza battere ciglio, in alcune circostanze anche agli intoccabili del quartiere spettava sborsare una sorta di “regalia” per il favore della restituzione. Confermando contestualmente come la tecnica del “cavallo di ritorno” - pagare un pizzo, in proporzione del modello di autovettura rubato, per ritornare in possesso del mezzo trafugato - sia una triste realtà anche nei giorni nostri.

In sentenza il Gup ha posto in evidenza anche il tema dei rapporti tra gli esponenti della cosca Rosmini e la comunità rom: «La presenza della comunità rom nel medesimo contesto territoriale ove operava la cosca Rosmini determinava forti tensioni soprattutto in relazione ai furti di autovetture, attività tipica dei nomadi, tanto che spesso le vittime di tali reati contattavano i membri della consorteria perché intervenissero al fine di ottenere la restituzione del mezzo rubato».

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