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Una fonte confidenziale indicò lo spaccio a cielo aperto a Scilla

Processo “Lampetra”: le motivazioni della sentenza di primo grado con rito abbreviato. «Si appurava un costante andirivieni di soggetti molto giovani, alcuni dei quali minori, che acquistavano e cedevano sostanze stupefacenti»

Intercettazioni telefoniche ed ambientali; cimici piazzate ovunque e nei siti più insospettabili; servizi di videosorveglianza e di osservazione con i “segugi” dell’Arma che hanno monitorato per mesi ogni singolo passaggio, spavaldo e blindato che fosse, del gruppo criminale sospetto; controlli specifici e posti di blocco strategici e “diversivi” per sviare le attenzioni di chi era effettivamente nel mirino; pedinamenti discreti di investigatori esperti quanto “invisibili” per incamerare le prove decisive. È stata un’indagine in puro stile poliziesco “Lampetra”, la retata della Procura distrettuale antimafia e dei Carabinieri di Reggio Calabria con la quale sono state colpite al cuore le potenti ’ndrine Nasone e Gaietti che dalla cittadina simbolo della Costa Viola scorrazzano da sempre e ad ampio raggio tra affari di narcotraffico, associazione mafiosa e estorsioni a tappeto. Come nasce l'attività di indagine è tra i punti nodali delle motivazioni della sentenza di prima grado emessa dal Gup di Reggio Calabria. Il verdetto è stato di 16, quasi tutte pesanti come un macigno con punte di 20 anni di galera (con rito abbreviato, quindi beneficiando dello sconto di un terzo della pena), condanne ed una sola assoluzione.
“Modus operandi” del pool investigativo ma anche l'input che ha avviato l'indagine è da vecchio stile poliziesco, quando un Carabiniere vecchio stampo della Stazione di Scilla registrò e valorizzò uno spiffero di una fonte confidenziale «con due persone che avevano occultato sostanza stupefacente tra la vegetazione spontanea di un sentiero a fondo naturale che da villa Matteotti del Comune di Scilla consentiva l'accesso al parcheggio retrostante la struttura sanitaria “La Casa della Salute”».

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