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Reggio, l’ascesa del “clan degli zingari” nella difficile periferia di Arghillà

Processo “Epicentro”: in Tribunale la testimonianza del collaboratore di giustizia Fregona. Sul ruolo del gruppo rom nel quartiere nord della città: «Immagino non c'era solo lui... ma ho potuto notare una sua impronta nell'area»

Il clan degli zingari che scorrazza oggi più che mai ad Arghillà e le gerarchie di ’ndrangheta a Catona. Su questi temi si è sviluppato l'esame del collaboratore di giustizia Vittorio Giuseppe Fregona nel processo “Epicentro” (verbale di udienza del 12 maggio), la maxi inchiesta della Dda che ha portato sul banco degli imputati capi e gregari delle principali cosche della città.
Reggino classe 1977, per sua indicazione esponente dei Rosmini e marginalmente dei Serraino, il collaboratore Fregona ricorda al Tribunale (il collegio è presieduto da Silvia Capone, giudici a latere Cristiana De Pasquale e Andrea Iacovelli) la fase in cui maturò la decisione di troncare rapporti e legami con le cosche cittadine: «Il periodo dell'attentato in Procura. 2009/2010. L'attentato alla Procura Generale».
Il Pubblico ministero Walter Ignazitto introduce subito il tema dei suoi rapporti di conoscenza con la realtà di Arghillà: «Ha avuto modo di conoscere i fratelli Andrea e “Cocò” Morelli?» Teste Fregona: «Sì, li ho conosciuti». Pm Ignazitto: «Erano soggetti che orbitavano intorno alla criminalità organizzata? Dediti al crimine?». Teste Fregona: «Andrea, uno dei fratelli, era diciamo con la famiglia Serraino. Era un giovane, diciamo, emergente». Pm: «Ma Lei aveva contatti con questi soggetti, con i Serraino?».

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