Non hanno dubbi i giudici del Tribunale: Paolo Romeo è «l’esempio dello sviluppo moderno del ruolo ’ndranghetistico». Nel processo “Gotha” l’avvocato ex parlamentare, condannato in primo grado a 25 anni, è figura centrale. E nelle motivazioni della sentenza, 7.683 pagine depositate avantieri, viene dipinto come una raffinata intelligenza in asse con la mala reggina, lui che «ha attraversato pressoché indenne – annotano i giudici – almeno tre lustri in cui, salvo il periodo della carcerazione, ha esercitato il ruolo di soggetto al vertice della struttura criminale».
Tutto, o gran parte, ruoterebbe intorno alla cosiddetta “massoneria segreta” menzionata dallo stesso Romeo in una discussione del 17 maggio 2002, in presenza - secondo gli inquirenti - di Giorgio De Stefano. «I metodi praticati – scrive il collegio ricostruendo il ruolo e la figura di Romeo – erano resi possibili da una fitta rete di relazioni intessute nel tempo con soggetti con ruoli istituzionali e allo stesso tempo con la mafia tradizionale, in posizione di raccordo tra il vecchio ed il nuovo, per assicurare all’ente criminale di preservare la propria esistenza ed accrescere la propria potenza accedendo alle stanze del potere amministrativo». Una «convergenza di soggetti con ruoli istituzionali in un ente partecipato anche da soggetti appartenenti alle consorterie criminali».
A Romeo e Giorgio De Stefano, raggiunta la storica pax mafiosa, «competeva il ruolo di preservare gli equilibri raggiunti». Tutto nel segno della spartizione di denaro e potere, contando su «politici spregiudicati» e «imprenditori mafiosi mobilitati nel condizionamento del consenso elettorale, con l’impegno a riconoscergli la percezione di importanti risorse finanziarie pubbliche».
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