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Gioia Tauro, il porto si gioca tutto in tre mesi

I devastanti effetti della direttiva Ue in vigore dall’1 gennaio. Espo: primi segnali di delocalizzazione del transhipment. Costi insostenibili per gli armatori: extra fino a 500mila euro per ogni nave

I primi segnali di rilocalizzazione, secondo l’Organizzazione europea dei porti marittimi (Espo), già ci sono. E il conto alla rovescia lascia margini strettissimi: una soluzione per salvare Gioia Tauro, ma anche altri porti tra Spagna, Grecia e Malta, va trovata prima che l’1 gennaio 2024 entri in vigore la direttiva sul sistema di scambio delle quote di emissione dell’Ue (Ets) per il settore marittimo, secondo cui la tassazione verrà calcolata oltre che sulla tipologia di nave anche sulla distanza percorsa, al 50% se lo scalo di partenza o destinazione è extra-Ue, al 100% se sono porti comunitari.

«Un autogol dell’Europa che penalizza i suoi porti nel Mediterraneo, a favore per esempio di Tangeri in Marocco o Port Said in Egitto», è stata la reazione - forse tardiva - dalle parti non solo di Gioia Tauro. E anche la clausola antielusione, che con la “regola delle 300 miglia” equipara di fatto i porti extra-Ue in cui la quota di trasbordo di container superi il 65% del traffico totale di container, rischia di essere insufficiente. Il punto sui rischi concreti, nei giorni scorsi, è stato fatto a Barcellona al Consiglio informale dei ministri dei Trasporti dell’Unione Europea, dove Matteo Salvini e l’omologo greco Staikouras hanno «condiviso l’opportunità di mantenere uno stretto coordinamento sul tema dell’Ets Marittimo che rischia di avere un impatto molto significativo sulla competitività dei porti europei».
A fare due conti, affidati alla piattaforma Linkedin, è Alberto Rossi, segretario generale di Assarmatori e avvocato partner dello studio legale Advant Nctm, che spiega come il regime voluto dall’Ue, in assenza di modifiche, «andrà a impattare in modo drammatico su posti di lavoro e controllo della filiera logistica senza alcun beneficio in termini di emissioni». Il rischio – di fatto già realtà – che le compagnie di navigazione trasferiscano l’attività di trasbordo container sulla sponda opposta del Mediterraneo, in Nord Africa. «E la “regola delle 300 miglia” – spiega l’esperto – non è adeguata per assolvere il compito che la stessa direttiva le affida. Una compagnia marittima che ha eletto un porto Ue per le proprie attività di transhipment (come Msc a Gioia Tauro, ndr) ed effettuato cospicui investimenti per rendere tali impianti efficienti, dovrà mettere in conto che affronterà costi operativi ben maggiori (dovuti al regime Ets) rispetto ai propri competitor che avessero prescelto di operare (e investire) nei porti del Nord Africa, Tanger Med e Port Said in testa».

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