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Occhiuto sul porto di Gioia Tauro: "Il campanello d’allarme è scattato a giochi fatti, adesso intervenire sarà più complicato"

Intervista al presidente della Regione. Il capo dell'esecutivo regionale ha chiesto a Pichetto Fratin di discutere il caso alla riunione dei ministri dell’Ambiente il 16 ottobre. Si punta ad avere una deroga in tempi brevi

Presidente Occhiuto, partiamo dallo scenario peggiore: che Calabria sarebbe senza Gioia Tauro, o comunque con un porto ridimensionato?

«Se il porto di Gioia Tauro venisse effettivamente azzoppato dalla strampalata direttiva dell’Unione Europea sarebbe davvero una brutta notizia per la Calabria. Il Mediterraneo, anche in seguito allo scoppio della guerra in Ucraina, sta diventando sempre più un luogo strategico e dalle immense opportunità. L’Italia deve cavalcare questo scenario e fare in modo che le regioni del Sud diventino l’hub commerciale ed energetico del Paese e dell’Europa su questo importante bacino. Ma per raggiungere questo obiettivo bisogna fare investimenti mirati, ed è giusto farli ad esempio per la realizzazione del Ponte sullo Stretto, e allo stesso tempo difendere e rafforzare le infrastrutture esistenti. Il porto di Gioia Tauro, il primo d’Italia per movimentazione di volumi, è il nostro fiore all’occhiello, con 1.600 lavoratori diretti – 4.000 se consideriamo anche l’indotto – e con un retroporto dalle straordinarie potenzialità. Ecco, non possiamo permettere che questo grande patrimonio della Calabria, ma dell’intero Paese, sia sotto attacco per scelte miopi e puramente ideologiche».

Per primo ha parlato “ecofollia”, invitando a intervenire sulla Commissione Europea. Non pensa che, in Calabria così come in tutto il Paese, ci sia svegliati troppo tardi?

«Il rispetto dell’ambiente è un valore che tutti devono perseguire: lo so bene perché governo una regione esposta agli eventi avversi derivanti dai cambiamenti climatici. Ma è anche vero che tale rispetto non deve essere improntato al fanatismo. Occorre uno sviluppo economico ambientalmente sostenibile, ma anche un rispetto ambientale economicamente sostenibile. Noi come Regione potevamo francamente far poco, visto che non siamo presenti nei tavoli europei nei quali vengono prese queste decisioni. I governi nazionali che si sono susseguiti negli ultimi anni, invece, avrebbero dovuto vigilare con più attenzione. Il campanello d’allarme purtroppo è scattato troppo tardi, a giochi praticamente fatti, e adesso intervenire sarà più complicato. È francamente singolare che di questa direttiva nei mesi scorsi, nella fase ascendente, in cui si formava la decisione, nessuno si sia occupato nelle istituzioni europee e nel Consiglio dell’Unione Europea. Ho parlato di “ecofollia” perché con questa direttiva l’Ue crea, all’interno dell’area mediterranea, porti di serie A e porti di serie B, e la cosa curiosa è che quelli che rischiano di essere declassati sono tutti scali europei, mentre quelli che si avvantaggeranno di questa situazione sono tutti nordafricani. L’Europa legifera contro la propria economia e favorisce quella di un altro Continente. Per cosa? Per limitare le emissioni delle navi portacontainer, dicono da Bruxelles. In realtà i grandi terminalisti non abbandoneranno il Mediterraneo, ma si sposteranno solo di qualche chilometro a Sud, in Nord Africa appunto: tanti preferiranno Port Said a Gioia Tauro. Il risultato? Avremo comunque le emissioni, ma regaleremo asset commerciali ad altri competitor. Se non è follia questa…».

«L’Ue talvolta si comporta stupidamente», ha detto a Paestum alla festa di Forza Italia. Dietro l’autogol sui porti c’è solo «l’ambientalismo fanatico e ideologico» a cui ha fatto riferimento o vede altri disegni?

«Non penso ci siano strategie particolari. Semplicemente l’Ue alcune volte, soprattutto sui temi ambientali, prende decisioni intrise di ideologia e senza valutare attentamente l’impatto sulla vita reale dei cittadini e sulle economie dei Paesi comunitari. Ricordate qualche mese fa la polemica sulla direttiva per le case green? Il testo approvato in Europa la scorsa primavera prevede che gli edifici residenziali debbano raggiungere la classe di prestazione energetica E entro il 2030 e D entro il 2033. Se fosse confermata una misura di questo tipo, in un Paese come l’Italia andrebbe ristrutturato il 75% degli edifici privati e pubblici esistenti. Servirebbero centinaia di miliardi di euro. Sarà ovviamente una misura da rivedere».

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