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Reggio, Edoardo Mangiola aveva un cellulare in carcere per continuare a guidare il clan

Un micro cellulare - «un iPhone piccolissimo», un marchingegno in vendita solo via Internet «appositamente progettato per essere occultato» - destinato al capo detenuto. Dal carcere, dove era ritornato nel giugno 2020 al culmine della retata “Malefix”, Edoardo Mangiola, il fedelissimo della ’ndrina Libri che aveva guadagnato i gradi di colonnello della cosca con base operativa a Cannavò e San Cristoforo, continuava ad esercitare il suo ruolo di reggente. Dalla sua cella, sono convinti i magistrati dell'antimafia e gli investigatori della Squadra Mobile che hanno condotto l'inchiesta “Atto Quarto”, impartiva indicazioni, assegnava compiti, delineava le strategie del gruppo mafioso. E a tratti ci sarebbe anche riuscito.
Per gli inquirenti Edoardo Mangiola «ricevette ed utilizzò» un telefonino in tre case circondariali: a Catanzaro, Avellino e Parma. Insistendo anche all'indomani di un sequestro, convinto di non essere stato scoperto. Ed invece lo era. Incastrato, monitorato ed ora indagato anche per questo reato. Il Gip tratteggia un profilo gravissimo a carico di Edoardo Mangiola: «Affinchè continuasse tranquillamente a gestire gli affari illeciti della cosca, avvalendosi della collaborazione di una serie di fidati sodali che avevano il compito di aggiornarlo sulle dinamiche interne alla consorteria nonché di metterlo in contatto con ulteriori appartenenti alla cosca Libri in libertà». Aggiungendo: «Comunicando dall'interno delle tre strutture penitenziarie forniva ai sodali direttive ed istruzioni, dettava disposizioni sulla riscossione dei crediti e dei proventi estorsivi, riceveva informazioni sugli imprenditori che contribuivano al suo mantenimento in carcere ovvero al pagamento delle sue spese legali, in tal modo mantenendo il suo ruolo direttivo in seno alla compagine mafiosa».

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