Due ordinanze di custodia cautelare in carcere nei confronti di Domenico e Rosario Arena, padre e figlio, che sarebbero inseriti nel clan Pesce. Ad eseguirle i Carabinieri del Gruppo di Gioia Tauro, con il supporto operativo di personale dello Squadrone Eliportato Cacciatori di Calabria e di unità cinofile.
Le indagini da cui scaturiscono i provvedimenti restrittivi, emessi dal Gip del Tribunale di Reggio Calabria, su richiesta della locale Direzione Distrettuale Antimafia diretta da Giovanni Bombardieri, riguardano gravi condotte estorsive perpetratesi per lungo tempo e violenze private, tutte aggravate dalle finalità mafiose, avvenute a Rosarno e Cinquefrondi.
Il loro modus operandi, affiancato al ripetuto ricorso ad intimidazioni di natura fisica e verbale si sarebbe sostanziato in una perdurante sopraffazione ed interferenza in un’attività economica sita nella Piana di Gioia Tauro, nonché nella limitazione della libertà di autodeterminarsi di più persone.
Le indagini dei carabinieri, che riscontrano tra l'altro le dichiarazioni di alcuni collaboratori di giustizia, hanno consentito ai pm di fare luce su alcune estorsioni consumate tra Rosarno e Cinquefrondi. Come quella ai danni della cooperativa agricola «Fattoria della Piana» di Candidoni e che, nel tempo, secondo gli investigatori, è diventata una vera e propria fonte di reddito illecito della famiglia. Negli ultimi 18 anni, infatti, i due arrestati avrebbero imposto all’amministratore della cooperativa, il pagamento di somme periodiche «come prezzo della possibilità di svolgere l’attività di impresa».
Il titolare della «Fattoria della Piana», in sostanza, doveva consegnare a Rosario Arena una sorta di stipendio mensile comprensivo di tredicesima nel periodo delle festività natalizie. Una parte dei guadagni dell’attività di ristorazione e della produzione di biogas, invece, sarebbe stata versata agli altri figli di Domenico Arena che avrebbe ottenuto pure un paio di assunzioni di persone che godevano della sua protezione.
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