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Reggio, il messaggio dell'arcivescovo Fortunato Morrone: "Il Natale ci educhi tutti alla pace"

Il presule ricorda l’impegno assunto in piazza Duomo con giovani e famiglie: «Basta giochi di guerra, abituiamoci a sviluppare un nuovo modo di pensare»

Pace, giovani e famiglia. Sono i tre temi portanti del messaggio di auguri che l’arcivescovo metropolita di Reggio Calabria-Bova Fortunato Morrone ha rivolto alla città in occasione del Natale. Il luogo scelto quest’anno è piazza Duomo, nel cuore della città, una scelta non casuale. «Proprio qui a novembre - ricroda Morrone - abbiamo assunto un impegno ben preciso con i nostri ragazzi, più di 1700 presenti, e i loro genitori: allenarci alla pace». Nel cuore del suo messaggio, l’arcivescovo condivide tre «brevi pensieri» di auguri con la comunità diocesana e reggina. «Il primo - è un ringraziamento a tutte le persone, gli operatori delle forze dell’ordine, i commercianti, in particolare i panettieri, gli operatori ecologici, gli operatori sanitari e varie associazioni di volontariato, gli amministratori e tanti altri che, con il loro lavoro, spesso non abbastanza riconosciuto perché svolto in modo discreto, ci permettono di vivere questi giorni con serenità».
Il «secondo pensiero» del presule è dedicato al significato «del nostro santo Natale. Noi cristiani crediamo che in Gesù, Dio si è legato indissolubilmente a tutti gli uomini e le donne per sempre. Dio e l’uomo sono strettamente congiunti. Questo è il grande mistero del santo Natale di Gesù, figlio di Dio divenuto uno di noi». Il presidente della Cec aggiunge che «quando noi cristiani pensiamo di agire o parlare in nome di Dio, ma ignoriamo gli altri, commettiamo un grave errore». Il vescovo ricorda che l’annuncio cristiano afferma che «Dio in Gesù è dalla nostra parte, cammina con noi e vive con noi, ma vuole che anche noi camminiamo con Lui per crescere in umanità». Morrone cita San Francesco d’Assisi, che «ci rimanda a questo nucleo fondamentale della nostra fede inventando il presepe». Quel presepe, sottolinea, che molte comunità parrocchiali rappresenteranno e che «va vissuto in modo autentico: non come rappresentazione teatrale o folkloristica, ma come segno della nostra fede».

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