Delitti eccellenti, ma soprattutto una prova di forza criminale, di inaudita arroganza, contro lo Stato. Le stragi in Calabria, volute dalla “Mafia unica”, coincisero con gli attentati all'Arma dei Carabinieri che hanno insanguinato il Reggino tra la fine del 1993 e i primi mesi del 1994. Stragi per cui sono stati condannati all'ergastolo dalla Corte d'Assise di Reggio Calabria il boss palermitano Giuseppe Graviano, un lungo passato da capo del mandamento del Brancaccio, e il reggino Rocco Santo Filippone, considerato esponente di primo piano della cosca Piromalli di Gioia Tauro. Sentenza di cui sono state rese le motivazioni evidenziando anche l'aspetto della sfida aperto allo Stato, che in quel periodo insisteva ad inasprire la legislazione antimafia. I Giudici scrivono: «È indubbio infatti che tali reati in quanto crimini portati ai danni di soggetti appartenenti ad organi vitali della sicurezza dello Stato non possano essere assimilati ad un qualunque delitto di minimo allarme sociale, incidendo viceversa profondamente sulla coscienza dei cittadini e di qualsiasi organo dello Stato, che ne ricevono, con tutta evidenza, un profondo e immediato contraccolpo, tesi come sono, palesemente, a destabilizzare le istituzioni di vertice e quindi chiaramente caratterizzati da una matrice terroristico-eversiva».
«Altro esito indubbio che il presente giudizio ha consegnato è costituito dagli accertati intrecci che negli anni si sono dipanati tra organizzazioni criminali e ambienti massonici e politici, in una evidente convergenza e commistione di interessi che mirava al comune intento di destabilizzare lo Stato e sostituire la vecchia classe dirigente che, agli occhi dei predetti, non aveva soddisfatto i loro 'desiderata'». È quanto c'è scritto nelle 1.400 pagine della sentenza «'Ndrangheta stragista» depositata dalla Corte d’assise d’appello di Reggio Calabria che, nel marzo 2023, ha confermato l’ergastolo per Giuseppe Graviano e Rocco Santo Filippone accusati dell’attentato in cui il 18 gennaio 1994 morirono i carabinieri Antonino Fava e Vincenzo Garofalo. Quello contestato al boss di Brancaccio e all’esponente della cosca Piromalli è un agguato rientrante nelle cosiddette «stragi continentali» che hanno insanguinato l’Italia all’inizio degli anni Novanta.
A proposito di politica, nella sentenza c'è scritto pure che "con tutta evidenza Cosa Nostra e la 'Ndrangheta si interessarono al nuovo partito di Forza Italia, per come dichiarato da numerosi collaboratori. Emerge come Cosa Nostra avesse deciso di creare un movimento autonomista, al pari di quanto accadeva nel resto del Sud Italia, ma che in seguito tale progetto era stato abbandonato in favore dell’appoggio al nascente partito di Forza Italia, con alcuni dei cui esponenti i siciliani avevano avviato contatti, tant'è che le stragi cessarono nel corso dell’anno 1994, sussistendo l’aspettativa che il nuovo soggetto politico avrebbe 'aiutatò le organizzazioni criminali che l’avevano elettoralmente sostenuto». La sentenza della Corte d’assise d’appello ha confermato le richieste della Dda di Reggio Calabria, guidata dal procuratore Giovanni Bombardieri e, in particolare, le risultanze dell’inchiesta coordinata dal procuratore aggiunto Giuseppe Lombardo che, insieme all’aggiunto Walter Ignazitto, ha rappresentato l’accusa anche nel processo di secondo grado.
«Non pare certamente frutto di una casualità - si legge nella sentenza scritta dal presidente Bruno Muscolo e dal giudice a latere Giuliana Campagna - la coincidenza nella scelta degli obiettivi da colpire, individuati sia in Calabria che a Roma negli appartenenti all’Arma dei carabinieri, uomini evidentemente simbolo della difesa dello Stato, che dovevano essere attaccati in momenti pressoché contestuali in punti geografici distanti tra loro, ma con un’unica finalità, ossia 'piegare' lo Stato alle richieste di attenuazione e/o eliminazione del carcere duro per mafiosi e 'ndranghetisti ed alla revisione della legislazione sui collaboratori di giustizia, che rappresentavano entrambi aspetti di particolare rigore per i criminali interessati, impeditivi della realizzazione dei propri interessi».
«Ritiene la Corte che il copioso materiale probatorio non consenta una fondata ricostruzione alternativa rispetto a quella operata dall’organo di accusa» scrivono ancora i giudici, secondo i quali non c'è «nessun dubbio che, su iniziativa di Totò Riina, Cosa Nostra decise di avviare tra il 1991 ed il 1992 una strategia stragista al fine di sferrare un attacco contro lo Stato, che sarebbe poi dovuto culminare con la strage dei carabinieri allo stadio Olimpico di Roma all’inizio del 1994».
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