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Reggio, processo 'ndrangheta stragista: pene confermate in appello per i 2 imputati

Accuse confermate e pene ribadite per i registi delle “stragi calabresi”, gli attentati all'Arma dei Carabinieri che hanno insanguinato il Reggino a cavallo tra il 1993 e il 1994. Condanna all'ergastolo anche in Appello per il boss palermitano Giuseppe Graviano, un lungo passato da capo del mandamento del Brancaccio, e per il reggino Rocco Santo Filippone, considerato esponente di primo piano della cosca Piromalli di Gioia Tauro. La Corte d'Assise d'Appello di Reggio Calabria (presidente Bruno Muscolo, giudice consigliere Giuliana Campagna), alla presenza del procuratore generale di Reggio Gerardo Dominijanni, ha confermato la pena massima, già inflitta in primo grado, per i due imputati del processo 'Ndrangheta Stragista, l'inchiesta del procuratore aggiunto della Dda di Reggio Calabria, Giuseppe Lombardo, e del Centro operativo Dia che ha indicato i mandanti degli agguati ai Carabinieri, i servitori dello Stato Antonino Fava e Vincenzo Garofalo uccisi sull'autostrada “Salerno-Reggio Calabria” alle porte di Scilla il 18 gennaio 1994 nel quadro del piano criminale di allargare il raggio delle stragi continentali dopo le bombe fatte esplodere a Roma, Firenze e Milano (nel Reggino, sempre nello stesso periodo storico, altri due agguati fallirono per un soffio: i tentati omicidi del primo dicembre 1993 a carico del carabiniere Vincenzo Pasqua e all’appuntato Silvio Ricciardo, e del primo febbraio 1994 quando rimasero feriti l’appuntato Bartolomeo Musicò e il brigadiere Salvatore Serra). C'è stata quindi la “Mafia unica” dietro gli agguati ai Carabinieri consumati nel Reggino tra la fine del 1993 e i primi mesi del 1994. E l'ordine è stato la conseguenza della strategia condivisa dei Corleonesi di Totò Riina e della 'Ndrangheta calabrese per allargare il fronte delle stragi continentali, il progetto terroristico di ricattare lo Stato che non intendeva indietreggiare rispetto all'offensiva ai boss mafiosi messi alle strette tra inasprimento del “carcere duro” e delle misure patrimoniali.

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