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Da Roma condanne definitive per i platiesi del narcotraffico

La sentenza della Cassazione chiude il processo “Coffee Bean”

Corte di Cassazione

Ha retto pure davanti ai giudici della quarta sezione penale della Corte di Cassazione l’impianto accusatorio a carico di alcuni esponenti di primo piano del clan Marando, originario di Platì, che per diverso tempo sarebbero riusciti, secondo le accuse poi confermate nei vari gradi giudizio, a mettere “radici” nella Capitale. Facendo leva, secondo gli inquirenti, sulla forza intimidatrice della ‘ndrangheta e potendo contare su un’imponente disponibilità economica e militare, la ‘ndrina aspromontana ben radicata per anni anche in Piemonte, a Volpiano, sarebbe riusciti a mettere in piedi un vasto giro di droga nel quartiere romano di San Basilio. I giudici della Suprema Corte hanno confermato le condanne a 14 anni di carcere dei fratelli Alfredo e Francesco Marando, figlio del noto Rosario Marando e nipoti di Pasquale Marando, narcotrafficante di elevatissimo spessore assassinato anni fa, vittima di una faida familiare e il suo corpo fatto sparire. Quattordici anni sono stati confermati a carico pure di altri due calabresi trapiantati a Roma e legati ai Marando da vincoli di parentela: i platiesi Paolo e Domenico Natale Perre. Stessa pena inflita a carico a due giovani capitolini, Gian Claudio Vannicola e Marco Lenti. Confermate, inoltre pene non inferiori a 5 anni di reclusione, per Claudio Bava, Andrea D’Urbano, Fabio Batocchi, Simona Grossi, Emiliano Spada, Savino Tondo, Simone Pedone, Michele Riso, Stefano Sternoni, Ivana Alessandra Licata, Tiziano Conti, Umberto Strippoli, Emiliano Leotta e Pietro Romano. In totale, quindi, i giudici della Cassazione hanno confermato pene per quasi un secolo e mezzo di carcere.

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