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Ponte sullo Stretto di Messina, monta la protesta a Villa S. Giovanni. "Noi da qui non ce ne andiamo!"

Caterina Votano pone una questione di utilità dell’opera: «Basterebbe solo qualche nave in più». In tanti si rivolgono ai legali: «Lasceremmo casa per un ospedale oncologico pediatrico, non per il Ponte»

La casa non solo dimora in senso letterale, ma luogo di affetti, ricordi ed anche di futuro «perché quando crei qualcosa lo fai anche per i tuoi figli». Costruzione materiale e soprattutto emozionale. Caterina Votano è tra i tanti che, insieme alla famiglia, guarda divenire tangibile il termine esproprio senza nascondere sentimenti difficili da contrastare in questa fase di riavvio di procedure e iter in vista della realizzazione del Ponte. Invece delle mura, dalle cui finestre si vede il mare, dovrebbe sorgere una serie di opere collegate all’attraversamento stabile. Ricorre spesso nelle sue affermazioni la parola sacrificio, che «potrebbe anche essere accettato qualora ci fosse reale bisogno di questa infrastruttura e il rapporto benefici-costi, intesi in tutte le loro accezioni, risultasse a favore dei primi».

Anche sotto l’aspetto “valoriale” dell’immobile, quello che verrà calcolato dai numeri, Votano ripete che non esiste determinazione adeguata quando in quest’ultimo dovrebbe essere compreso il “fattore umano” che per sua stessa natura non è calcolabile. «Questa casa l’abbiamo costruita dal niente. Il terreno comprato era una discarica, e tutto quello che c’è oggi è frutto di energia, impegno, volontà e di tutti i risparmi di una vita. L’idea di dover abbandonare un posto che hai creato pezzo per pezzo, che è la tua vita, decenni di vita, è lancinante. C’è una grande rabbia. Sentiamo di dover sacrificare molto per qualcosa che poteva essere evitata, che non ha nessuna funzione. Per risolvere il problema dei trasporti sullo Stretto basterebbe qualche nave in più».

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