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Reggio, le minacce di disordini in carcere del gruppo di detenuti campani

In Tribunale la ricostruzione delle ore precedenti il pestaggio nel plesso “San Pietro”. «Qualcuno ha lanciato oggetti dalle celle per creare una situazione così di tensione; ed uno ha tentato di dare fuoco ad un materasso»

C’era stata più di clamorosa avvisaglia prima dell'epilogo violento del 22 gennaio 2022, quando all'interno della casa circondariale “Panzera”, il plesso “San Pietro”, un detenuto napoletano è stato picchiato, secondo l’accusa, dall’allora comandante della Polizia penitenziaria, Stefano La Cava, e da un gruppo di cinque agenti. Le sei persone che si trovano a processo in Tribunale. Una vicenda estremamente delicata che il dibattimento sta ricostruendo partendo dal contributo di chi ha coordinato il pool investigativo, il vice questore aggiunto della Polizia di Stato, Paolo Valenti. Nella testimonianza del 22 febbraio, come emerge dal verbale di udienza, il susseguirsi di quelle ore drammatiche fanno leva sui riscontri delle intercettazioni disposte dalla Procura. Tra chi è stato intercettato, come conferma ai Giudici il funzionario della Squadra Mobile, c’è lo stesso comandante La Cava che parlando con un interlocutore ricorda il faccia a faccia con il detenuto picchiato, Alessio Peluso: «Allora io a quel punto ho detto: “Va beh, basta allora vieni, vieni, se non vieni con le buone vieni con le cattive”. Quindi io e un altro collega lo abbiamo preso di peso, proprio lo abbiamo sollevato dalla sedia però lui ad un certo punto ha detto: “No, no vengo da solo, vengo da solo”, “Va beh vieni da solo”, e allora lo lasciamo. Poi ad un certo punto mentre lui ritorna, arriviamo a ridosso dell’ingresso dei passeggi, quindi lasciamo il campo sportivo, arriviamo a ridosso dei passeggi, gli dico: “Senti tu adesso te ne vieni un po' alla Caronte che qua non puoi stare”. “Alla Caronte no, alla Caronte no, iniziò ad urlare”. Allora lo afferro e lo porto in prossimità del cancello di… dell’accesso di Cariddi, okay? A quel punto lui inizia a dimenarsi, tentando di tirarci calci, pugni e tutto il resto, quindi io insieme ad altri 2-3 colleghi lo immobilizziamo e insomma non senza una certa fatica lo facciamo uscire dal suo reparto. Nel mentre era un boato di strepiti dalle celle dei napoletani: figli di zo… figlio di put.., pezzo di me..., Comandante di me.., insomma una serie di strepiti…”».

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