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Locri, appello della presunta scafista Marjian Jamali: «In cella da sei mesi, nessuno mi ascolta»

Dichiarazione spontanea in aula della giovane mamma iraniana, reclusa a Reggio

In virtù di quanto emerso nel corso dell’ultima udienza, inizierà a Locri il 17 giugno il processo dibattimentale a Marjan Jamali, la 29enne iraniana accusata da tre migranti di essere stata una scafista. La donna, madre di un bambino di 8 anni temporaneamente affidato ad una famiglia afgana a Camini, è in carcere (a Reggio Calabria) dal 30 ottobre, tre giorni dopo essere sbarcata insieme al figlio al Porto di Roccella con altri 100 migranti circa di varie nazionalità.
A nulla, finora, sono valse le richieste di scarcerazione e di contestuale concessione degli arresti domiciliari avanzate dal legale della giovane donna: tutte rigettate dall’autorità giudiziaria. Mamma e figlio minore, quindi, continuano a rimanere separati. Nei giorni scorsi, comunque, il legale della donna, avv. Giancarlo Liberati, ha inoltrato un ulteriore ricorso, stavolta ai giudici della Corte di Cassazione, con l’obiettivo di ottenere a favore della donna la concessione degli arresti domiciliari a Camini, allo scopo di farle riabbracciare il figlioletto.
Nel corso dell’udienza di lunedì, la donna ha chiesto ai giudici del Tribunale di Locri (presidente Rosario Sobbrio) di fare una dichiarazione spontanea: «Sono venuta in Italia – ha dichiarato Marjan Jamali – per dare un’altra vita a mio figlio. Qui non abbiamo nessuno ecco perché mio figlio ha bisogno di me ed io di lui. Ma sono qui da circa sei mesi e finora non sono stata ascoltata da nessuno».

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