Questo sito contribuisce all’audience di Quotidiano Nazionale

Il collaboratore di giustizia Trunfio: «Nelle carceri San Pietro e Arghillà comandano quelli di Reggio»

Vita di carcere a Reggio. Nel plesso “San Pietro” e nell'istituto “Arghillà”. A ricostruire le dinamiche della convivenza - tra il sostanziale scettro del comando nelle mani dei detenuti di Reggio-città, alla distruzione delle celle con l'assegnazione delle ambite “due posti” ai capi, o la tradizione del lutto in carcere per la scomparsa del familiare del boss - è stato in Tribunale il collaboratore di giustizia Francesco Trunfio, 44enne dal passato di rampollo della 'ndrina Piromalli di Gioia Tauro, voluto dalla Procura nel processo per la presunta gestione allegra delle carceri reggine che ha portato sul banco dei testimoni l'allora direttrice, Maria Carmela Longo, un medico e una detenuta.
Il processo ritornerà davanti al Tribunale collegiale (presidente Greta Iori, giudici a latere Marco Cerfeda e Elsie Clemente) proprio per completare l'esame e condurre il controesame del collaboratore di giustizia. Nella prima fase dell'esame (verbale di udienza del 22 febbraio) Francesco Trunfio ricorda il periodo in cui è stato detenuto a Reggio, quasi due anni, rispondendo alle domande del Pubblico ministero Sabrina Fornaro: «Allora rispetto sostanzialmente a come funzionava la vita nel carcere di Reggio, Lei che cosa ci sa dire? Nel senso c’erano delle dinamiche particolari rispetto al funzionamento, all’organizzazione? Partiamo appunto da questo argomento della divisione, quando Lei mi dice Scilla era più che altro, ospitava detenuti diciamo così di provenienza di Gioia Tauro, comunque del versante Tirrenico della Calabria della provincia di Reggio e Cariddi tendenzialmente Lei prima ha detto detenuti di origine reggina, proprio della città diciamo così. Come mai c’era questa divisione, lei cosa ha potuto capire mentre era detenuto?».

Leggi l'articolo completo sull'edizione cartacea di Gazzetta del Sud - Reggio

Caricamento commenti

Commenta la notizia