«Quest'altro è uscito, ed è rimasto a 30 anni fa, Mico è rimasto a 30 anni fa». Il presunti membri del clan di Arangea avevano il terrore di essere arrestati. Un fatto che emerge in modo chiaro dalle intercettazioni ambientali ai quali gli indagati erano sottoposti. Dalle loro parole, finite nell’ordinanza del gip distrettuale che ha portato in carcere 11 persone e una ai domiciliari, trapelava l'importanza di coinvolgere solo persone di estrema fiducia, di mantenere un profilo basso anche in ordine alle frequentazioni, di evitare di agire in certi settori maggiormente a rischio, come per esempio quello edilizio, nel timore che il monitoraggio tecnico, le telecamere o la scelta di collaborare con la giustizia o comunque di denunciare i fatti da parte delle vittime potesse esporli irrimediabilmente. Ed infatti, proprio Vincenzo Autolitano, parlando con un altro uomo, «... sottolineava la perfetta continuità temporale delle condotte estorsive realizzare da Mico Palumbo che, anche dopo la scarcerazione, stava continuando ad agire come era solito fare prima del suo arresto: «Quest'altro è uscito, ed è rimasto a 30 anni fa, Mico è rimasto a 30 anni fa ( .. .)Va nel cantiere, "guarda, fai ...».
Gli stessi timori avanzati da Vincenzo Autolitano erano stati espressi anche Carmelo Gullì, «anch'egli diffidente di Demetrio Palumbo - scrivono gli investigatori - come emerge il 7 marzo 2021 nel corso di una conversazione da questi intercorsa» con un parente.
«Nello specifico - si legge nell’ordinanza - Gullì spiega... di aver appreso da Sebastiano Praticò... che coloro che hanno avuto rapporti con Palumbo sono stati poi tratti in arresto». L’interlocutore di Gullì, aggiungo gli inquirenti nell’ordinanza, «sostiene quindi che Palumbo sia oggetto di “attenzioni investigative” da parte delle forze dell'ordine, affermazione che trova concorde Carmelo Gullì il quale aggiunge che ciò sta destando notevoli preoccupazioni nel sodale Sebastiano Praticò».
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