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La retata Ducale a Reggio e i timori per le “cantate” di Chindemi LE INTERCETTAZIONI

Dal carcere di Sulmona, dove era recluso, il boss Santo Araniti commentava: «A Gallico ha buttato il sangue un altro... galera non ne vuole fare nessuno!»

«Il cornutello di Gallico». Dai capiclan di Sambatello, dai vertici della ’ndrina Araniti, solo parole al veleno per Mario Chindemi, l'ex fedelissimo della cosca colpita con la retata “Ducale” che aveva saltato il fosso ingrossando le fila dei collaboratori di giustizia della ’ndrangheta di Reggio Calabria. Non andò giù ad alcuno la scelta di campo di Mario Chindemi, fratello di Pasquale Chindemi ucciso - secondo gli analisti della Direzione distrettuale antimafia di Reggio - negli anni della faida di Gallico pagando con la vita il progetto troppo ambizioso di scalare posizioni ed agguantare le redini del comando nella “locale” di Gallico, territorio chiave della periferia nord di Reggio Calabria dove storicamente la cosca Araniti ha sempre esercitato influenza e forza decisionale.
La notizia della collaborazione con la giustizia non lasciò indifferente nemmeno Santo Araniti, storico padrino della ’ndrangheta reggina che nel carcere di Sulmona «dove era ristretto in regime differenziato affrontava l'argomento con altri detenuti». Commenti al vetriolo: «Eh! Un altro cornutello là di Gallico forse, che si è buttato il sangue pure... lo avevo letto sopra... non lo conosco, non è che so... e gli ha detto... in un processo che lo hanno interrogato, gli ha detto... “tu a chi appartieni?” - “Io qua, io là... - gli ha detto - a me...” - “quando ti hanno battezzato, quando ti hanno fatto... - dice - chi era il tuo capo?”»

 

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