Un tentativo velleitario. Fallito. La ’ndrangheta ha rischiato di duplicarsi: nel senso che stava per essere costituito nella Calabria centro-settentrionale un nuovo “crimine”, indipendente da quello storicamente allocato a San Luca. Il “crimine” è la struttura di comando assoluta che autorizza l’apertura di “locali” e ‘ndrine” in giro per l’Italia e per il Mondo.
L’idea di renderlo operativo era venuta al superboss di Cutro Nicolino Grande Aracri, giunto al culmine della sua “carriera” di temuto e rispettato capobastone, di padrino influente sia nella regione di origine che in Emilia Romagna, Veneto, Lombardia e Piemonte. La ragione? Considerato il livello e la varietà d’interessi coltivati dalle cosche di altre zone della Calabria lontane dal Reggino, era giusto che avessero una loro ufficiale e conclamata “autonomia”. Il progetto avrebbe dovuto coinvolgere le ‘ndrine del Cosentino, del Crotonese, del Lametino e della Sibaritide.
A parlarne per primo è stato Giuseppe Giampà, il figlio e “delfino” di Francesco Giampà, detto “il professore”, figura storica della ‘ndrangheta lametina. Siamo nel 2012 quando il mancato “delfino” sceglie di collaborare con la procura distrettuale di Catanzaro e parla. «Era un progetto» racconta ai magistrati inquirenti «che stava portando avanti Nicolino Grande Aracri di Cutro e doveva ricomprendere anche il territorio di Lamezia Terme e parte del Cosentino oltre al Crotonese. Del Vibonese doveva aderire al progetto mafioso il clan Bonavota di Sant’Onofrio».
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