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Polistena, garza nell’addome dopo il cesareo: processo quasi prescritto

Presunta malasanità, non sono bastati 6 anni per riuscire a chiudere il procedimento di primo grado. I fatti risalgono all’8 marzo 2018, quando la signora Sgarlata partorì una bambina

L'ospedale di Polistena

È avviato verso la prescrizione il processo nato da uno dei casi più eclatanti di presunta malasanità verificati negli ultimi anni negli ospedali del Reggino. Processo nato dalla denuncia della famiglia Rao di Palmi alla procura della città di Cilea nel 2018 per mezzo dei suoi legali, gli avvocati Pasquale Aquino e Mimma Sprizzi. A causa dei numerosi rinvii, il procedimento non è mai iniziato veramente. Una vicenda che porterà a dichiarare prescritto il processo ed a non emettere una sentenza (di assoluzione o colpevolezza) nei confronti degli otto medici dell’ospedale di Polistena imputati nel procedimento. Resta invece aperto quello intentato in sede civile per il risarcimento del danno.
La vicenda da cui trae origine il processo è avvenuta nel marzo del 2018, quando la signora Daniela Sgarlata mise al mondo il suo quarto figlio. Era l’8 marzo, festa della donna, e la famiglia Rao aveva festeggiato l’arrivo di Stefania attesa da tanto tempo dopo i tre maschi.
E proprio dopo il taglio cesareo a cui venne sottoposta è iniziato il calvario dell’allora 43enne di Palmi. Nelle settimane successive al parto cesareo, infatti, Daniela è preda di forti dolori all’addome. Inizia a quel punto, per la famiglia Rao, un’odissea che pare senza fine. E il sogno di una mamma per la nascita della sua bimba, si trasforma piano piano in incubo. Solo a settembre, dopo sette mesi e diverse diagnosi sballate, i sanitari di Polistena si rendono conto di avere lasciato nell’addome di Daniela una matassa di garze. Subito dopo la scoperta il marito della signora, Antonello Rao, accompagnato dagli avvocati Aquino e Sprizzi ha denunciato i fatti alla procura di Palmi. Gli inquirenti hanno aperto un’inchiesta e messo sotto indagini 8 sanitari del presidio ospedaliero polistenese. E dopo avere sequestrato le cartelle cliniche e le garze avevano disposto la perizia sanitaria alla donna. Nel frattempo che l’ufficio diretto dall’allora procuratore capo, Ottavio Sferlazza, aveva aperto l’indagine, Daniela Sgarlata aveva dovuto subire una seconda operazione dopo quella che aveva permesso di estrarre le garze dall’addome. I chirurghi, nel secondo intervento, le avevano dovuto asportare un pezzo d’intestino che era stato infettato dalla garza. «L’auspicio della famiglia Rao – aveva commentato all’epoca dei fatti l’avvocato Aquino durante la fase di indagine – è che si arrivi presto a dibattimento per potere accertare le cause e le responsabilità. In quella sede tuteleremo i diritti della signora costituendoci anche parte civile nel processo». Il dibattimento alla fine è iniziato, ma non pare avere fatto molta strada, tanto da essere in procinto di andare in prescrizione, con buona pace della signora Sgarlata e della sua famiglia.
«Sentendo fortemente il peso di una vicenda drammatica, che mai dovrebbe accadere a nessun paziente, che rischia oggi di non trovare un adeguato riconoscimento, faremo ogni sforzo – dichiarano gli avvocati Aquino e Sprizzi – perché il dramma vissuto dalla signora Sgarlata e dalla sua famiglia possa avere finalmente giustizia, dopo una serie di lungaggini francamente ingiustificabili».

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