L’occupazione è finita ma non la protesta. Il lieto fine non c’è per la vertenza della psichiatria che vede da quasi 10 anni i ricoveri bloccati ed i pazienti dirottati lontano dai loro affetti. I familiari dei pazienti psichiatrici ieri notte hanno abbandonato i locali della direzione dell’Asp, dopo ore di tensioni e rivendicazioni. Rivendicano il diritto alla salute alle cure dei pazienti non a centinaia di chilometri ma sul territorio.
Denunciano: «La problematica è drammatica: Asp e Regione stanno attuando un piano che deve portare alla chiusura di 5 strutture psichiatriche con 100 pazienti da trasferire a centinaia di chilometri o destinati a restare senza cure. Che vanno ad aggiungersi ad altre centinaia già ricoverati nella provincia di Cosenza, Catanzaro, altrove». Il confronto con il direttore generale Lucia Di Furia non ha convinto i familiari: «Ha sostenuto ragioni inverosimili anche rispetto agli avvenimenti, le posizioni assunte nei recenti incontri tenutisi in Prefettura».
Un esempio? «È stato riferito del fatto che 20 pazienti da una struttura della provincia, costretta a chiudere i battenti, sono stati trasferiti a Pavia; secondo la Di Furia all’ASP 5 va il merito di non averli lasciati per strada. Ed è purtroppo questo il destino assegnato dai nostri amministratori anche per i nostri cari». Raccontano le vicende di ieri durante le ore di occupazione della direzione generale dell’Asp: «Ci è stato inizialmente impedito persino di utilizzare i servizi igienici, poi è stato limitato l’accesso ad un solo wc privo di acqua, non è stata mai consentita la fornitura di viveri, non è stato consentito il turn-over da noi programmato. Situazioni che non si sposano, in uno stato democratico, con il diritto a protestare per così gravi violazioni del diritto alla tutela della salute mentale».
Sottolineano: «La nostra protesta, diversamente da come insinuato, non assume colore politico alcuno. Ciò non toglie che le responsabilità di quello che accade verte sulla struttura commissariale alla sanità (Occhiuto ed Esposito) e sulla Direzione Generale dell’Asp (Di Furia); ma noi chiediamo il sostegno a tutti coloro che vorranno sostenere questa battaglia di civiltà». In questo contesto «siamo stati costretti in relazione alle suddette gravi determinazioni assunte nei confronti della nostra protesta a lasciare il presidio. Ma questo servirà solo a continuare la nostra battaglia di civiltà con maggiore determinazione, alzando ancora di più il tiro, portando con noi le “vittime” predestinate di questa barbarie sanitaria, i nostri figli, fratelli parenti» dicono i familiari che rinnovano l’appello «al Vescovo, al sindaco, a chi ha condotto la stessa battaglia da differenti posizioni, alla società civile.
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