La prima sezione penale della Corte di Appello di Reggio Calabria (presidente Monica Lucia Monaco, consiglieri Giuseppe Perri e Sabato Abbagnale), mercoledì scorso, all’esito delle arringhe difensive ha modificato la sentenza emessa dal Tribunale penale di Palmi il 21 luglio del 2022 che si era espresso sugli imputati coinvolti nell’inchiesta denominata “Gear”.
L’omonima operazione, coordinata dalla Procura Distrettuale di Reggio Calabria ed eseguita dai Carabinieri del Comando Provinciale di Reggio Calabria e dei reparti territorialmente competenti, era scattata il 28 luglio 2020 con l’esecuzione di 14 arresti disposti dal gip Stefania Rachele.
I reati contestati sono costituiti, a vario titolo, da associazione finalizzata al traffico illecito di sostanze stupefacenti pluriaggravata, traffico di armi, favoreggiamento della latitanza di boss della ‘ndrangheta, detenzione e porto abusivo di armi da sparo comuni e da guerra.
Secondo l’accusa, al centro delle attività criminali c’era un indefinito numero di traffici di consistenti quantitativi di cocaina, marijuana, eroina e hashish e dalle intercettazioni sarebbe emersa la programmazione di rilevanti importazioni di droga dal Marocco e dall’Albania.
Il centro operativo della organizzazione sarebbe stato individuato in una nota cava per estrazione di materiale inerte sita in località Pontevecchio di Gioia Tauro gestita storicamente dalla famiglia Bruzzese.
Un ruolo di primo piano era stato attribuito a Girolamo Bruzzese (deceduto prima della fine del giudizio di appello) e ai fratelli Antonino e Alessandro Bruzzese, condannati in appello rispettivamente a 2 e 3 anni di reclusione. Il sostituto procuratore generale Danilo Riva aveva chiesto la conferma della sentenza di primo grado.
La Corte reggina ha invece ribaltato la sentenza di primo grado in merito alla imputazione più grave, quella costituita dall’associazione finalizzata al traffico di droga, assolvendo Antonino Bruzzese (difeso dall’avocato. Domenico Infantino, con la collaborazione dell’avvocato Domenico Barone, condannato in primo grado a dieci anni e sei mesi di reclusione), Alessandro Bruzzese (difeso dagli avvocati Simona Figliucci e Giuseppe Cavallaro, condannato in primo grado a 12 anni e 6 mesi di reclusione), Michele Cilona (difeso dagli avvocati Armando Veneto e Vladimir Solano, condannato in primo grado a 15 anni) con la formula “perché il fatto non sussiste”.
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