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Caso Strangio, ombre sinistre su San Luca

È chiaro che saranno gli accertamenti tecnici e, soprattutto, gli esami del Dna da parte dei carabinieri del Ris (già intervenuti per i prelievi) sui pochi e carbonizzati resti rinvenuti all’interno del fuoristrada, anch’esso totalmente distrutto da un gigantesco rogo, a stabilire la natura, umana (dato questo molto probabile, ma non ancora scontato) o animale dei frammenti ossei repertati. Ma, allo stesso tempo, appare abbastanza chiaro – se, ripetiamo, ci sarà la conferma ufficiale dalle analisi – che l’esame del Dna, dopo le dovute comparazioni, potrà pure stabilire a chi appartengono i resti e, soprattutto, se i frammenti ossei e qualche altro piccolo oggetto trovato nel fuoristrada sono pertanto riconducibili all’imprenditore agricolo e allevatore di San Luca, Antonio Strangio, 42 anni, del quale si sono ormai da molto perse le tracce. Novità di ieri, si è appreso intanto che tra i resti carbonizzati i militari dell’Arma hanno repertato la fibbia in metallo di una cintura, un frammento di un coltellino e vari meccanismi di un orologio.
L’uomo, sposato e padre di ben quattro figli tutti minori – e, soprattutto, figlio del settantenne Giuseppe Strangio con alle spalle un “pedigree” criminale (tra cui vari e noti sequestri di persona come quello del giovane pavese Cesare Casella) di tutto rispetto e, secondo le forze dell’ordine e i magistrati antimafia, leader indiscusso del presunto clan aspromontano degli Strangio “Barbari” – da oltre una settimana manca da casa, né si è fatto vivo, neppure telefonicamente o per vie traverse, con i familiari o i parenti più stretti.
Un dato, questo, già di per sé allarmante e inquietante se si tiene conto che il fatto si è verificato a San Luca - dove, appunto, da decenni ha radici profonde il gotha della ’ndrangheta - e non Rimini, Bordighera, Viareggio o la Costa Smeralda.

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