
Assoluzione con formula ampia dopo aver rinunciato alla prescrizione. Si conclude dopo 13 anni la vicenda giudiziaria che ha riguardato l'imprenditore Santo Cuzzola, tra i più affermati ottici della provincia reggina, gravato dall'accusa di intestazione fittizia di beni. La Corte d'Appello (presidente Alfredo Sicuro, giudici consiglieri Adriana Trapani e Giuseppe Perri) ha assolto Santo Cuzzola, che è stato difeso dagli avvocati Elisa Alecci e Francesco Albanese, «perchè il fatto non costituisce reato». Identico verdetto per i cinque coimputati Antonio Morabito, Alessandra Garufi, Clementino Cento, Demetrio Cuzzola e Beatrice Minerva. Entro novanta giorni le motivazioni della sentenza.
Una assoluzione che ha riformato la sentenza del Tribunale collegiale del 21 dicembre 2022. In quella sede, in seguito all'esclusione dell'aggravante mafiosa, era stata dichiarato «non doversi procedere perchè i reati estinti per intervenuta prescrizione». Ma la vicenda giudiziaria è ben più datata, partendo dall'originaria contestazione della Dda, pesante come un macigno per ogni cittadino: intestazione fittizia aggravata, legati ad un antefatto ritenuto dagli inquirenti «certo» - però mai provato nè riscontrato in indagine o in dibattimento - inerente il periodo di latitanza trascorso da Pasquale Condello, il boss di Archi noto come “Il supremo”, all’interno di un appartamento nella disponibilità di Santo Cuzzola.

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