Nuova udienza oggi davanti alla Corte d’assise del Tribunale di Como del processo istruito nei confronti dei presunti mandanti del rapimento di Cristina Mazzotti, prelevata sul cancello della casa di famiglia a Eupilio (Como) il 30 giugno del 1975 e ritrovata morta il primo settembre successivo in una discarica di Galliate (Novara). Il tribunale ha disposto il proscioglimento per morte del reo di Giuseppe Morabito, 80 anni, nato ad Africo (Reggio Calabria) ma residente a Tradate (Varese), deceduto per malattia alla fine dello scorso mese di novembre, a processo già avviato.
Sul banco degli imputati rimangono Giuseppe Calabrò, 74 anni, reggino di San Luca residente a Bovalino (Reggio Calabria) detto «'u dutturicchiu», Antonio Talia, 73, di Africo (Reggio Calabria), e il reggino Demetrio Latella, 71, detto «Luciano», residente nel Novarese, l’uomo una cui impronta digitale fu trovata sulla carrozzeria della Mini sulla quale Cristina viaggiava la sera del rapimento.
L’udienza di oggi ha avuto per protagonista il pentito di 'ndrangheta Antonino Cuzzola, 72 anni, che nel carcere di Porto Azzurro, tra il 1976 e il 1977, ebbe modo di condividere un periodo di detenzione con Franco Gattini, il «cassiere» che per conto della banda di rapitori intascò il riscatto di un miliardo e 50 milioni di lire pagato dal padre della ragazza quando, in realtà, Cristina era già morta. A Gattini, ha ricordato Cuzzola, si aggiunse dopo qualche mese anche il carceriere della ragazza, Giuliano Angelini, lui pure inviato a Porto Azzurro. «A me e a Gattini, Angelini disse che la ragazza si ribellava e gridava, allora lui andò in farmacia e acquistò una boccetta di Valium che le metteva nell’acqua, e poi delle pastiglie calmanti, ma si vede che gliene diede troppe. E la ragazza morì». Dell’eventuale ruolo di mandanti che la Procura attribuisce agli imputati, il testimone non ha saputo dire nulla. Si torna in aula mercoledì prossimo con altri testimoni dell’accusa.
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