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A Reggio l'omaggio a Pasolini: la lotta come essenza dell’amore

L’intenso spettacolo firmato da Katia Colica con Americo Melchionda

Non un semplice omaggio a Pier Paolo Pasolini, ma un vero e proprio viaggio nella memoria che vede protagonisti tutti noi. Lo aveva annunciato Americo Melchionda, vestendo i panni del grande intellettuale nell'opera «PPP Amore e lotta» andata in scena al Teatro Francesco Cilea tra tanti consensi del pubblico. La rappresentazione è stata prodotta da Officine Jonike Arti per la drammaturgia di Katia Colica, scrittrice, performer e animatrice del festival «Balenando in burrasca», e la regia di Matteo Tarasco, quest'ultimo con alle spalle un curriculum di tutto rispetto (membro del Lincoln Center Theatre Directors Lab di New York City, dove ha lavorato nel 2006 e 2007, nel dicembre 2006 riceve dal presidente della Repubblica Italiana il Premio “Personalità Europea per il teatro 2005” come migliore regista emergente). Ancora, del cast fanno parte, oltre a Melchionda, Maria Milasi nel ruolo della madre di Pasolini, Susanna, e Andrea Puglisi in quello del fratello Guido.

Una scenografia essenziale, che ci restituisce il valore della memoria e della sofferenza umana «perché – sottolinea Americo Melchionda in un momento intenso dell'interpretazione di Pasolini – , quando si è stanchi, basta poco per lasciarsi indietro la vita».
Ed al centro della scena c'è il dolore di una madre che si trova improvvisamente orfana dei suoi figli e che resta in fervida attesa a quella finestra che inutilmente scandisce il tempo di un ritorno che non ci sarà mai.

«Vi aspetto tutti e due, per capire come vi siete smarriti, qual è la mia colpa»: è il grido di dolore, l’interrogativo inquietante di una donna che si trova sola ed incredula di fronte all’omicidio di due figli – uno dopo l’altro, a distanza di tempo, in diversi periodi – tutti e due senza colpevoli accertati. Parole che disegnano il ruolo di madre che protegge e al tempo stesso fallisce.
Altra pagina. Pasolini nel finale della sua vita è assalito da una spinta emotiva, il desiderio di ritrovare il fratello Guido morto ammazzato nella guerra partigiana ancora giovinetto, nel 1945 durante i fatti legati all’eccidio di Porzus. «Manca il fischio del treno che ci riporta Guido ed ho capito che la guerra non può risolvere le cose. Guido è morto per questa bandiera e non ha potuto sopravvivere al proprio entusiasmo», si racconta così, in una dimensione atemporale e metafisica, Pasolini, tra la confusione del tempo perduto, annebbiato, e la certezza di una grinta che mescola amore e lotta. Ed è l'esaltazione di tutti quei sentimenti, tanto intensi quanto inquietanti e contrastanti, che possono attraversare l'animo umano, segnando il percorso del protagonista tra sogni, incubi e desideri, tra la dimensione terrena e quella ultraterrena.
Dunque, va in archivio con successo questo primo studio che rientra in un percorso più complesso che avremo modo di approfondire ma che, intanto, ha saputo accendere i riflettori per la prima volta – con grandissima intensità emotiva, grazie a un testo acuminato, una messinscena rigorosa e la profonda partecipazione degli interpreti – su Pier Paolo Pasolini poeta, figlio, fratello, richiamando il valore della lotta quale essenza stessa dell'amore.

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