Misteriosi, eppure lì a portata di mano. Antichi di millenni, eppure con la forza della contemporaneità di chi li guarda, meravigliato e ammirato. Densi di futuro, perché la loro lunghissima storia ci assicura che continueranno a distribuire fascino e meraviglia. Sono i Bronzi di Riace, già protagonisti di mille storie e di mille teorie e ora personaggi in carne e bronzo (si può dire? per loro sì, si può dire) di “Semidei”, il docufilm del reggino Fabio Mollo, che ne è anche il regista insieme con Alessandra Cataleta, prodotto da Palomar, realizzato con il sostegno della Regione Calabria - Dipartimento Istruzione, Formazione e Pari Opportunità e Fondazione Calabria Film Commission, in occasione delle celebrazioni del cinquantesimo anniversario del ritrovamento delle statue, e presentato nella sezione “Notti Veneziane” della Mostra del cinema.
«L’arte sospende il tempo, mescolando passato, presente e futuro. E per questo è anacronistica», ci dice Mollo. Il suo film riesce a unire la Storia con la S maiuscola e quelle di persone dei nostri giorni che scoprono per la prima volta i Bronzi e aprono i loro sguardi alla meraviglia ancor prima che all’ammirazione. È quello che accadeva nel 1981, quando furono esposti per la prima volta, come si vede nella sequenza di telegiornali d’epoca all’inizio del film, tra sguardi attoniti, quasi schiacciati dalla bellezza, e bocche aperte a segnare l’evidenza di una scoperta che manda in tumulto il cuore e la mente.
«Questo approccio della gente non è cambiato – spiega il regista – anzi lo leggiamo ancora negli occhi degli studiosi e dei restauratori che pure ormai da decenni si occupano dei Bronzi». È vero: quando raccontano le loro esperienze e spiegano le loro teorie, il loro sguardo va sempre oltre la macchina da presa. Per esempio, gli occhi di Nuccio Schepis, mentre descrive l’ultimo restauro, curato da lui, sembrano viaggiare all’esterno e ancor più all’interno di queste statue che gli sono diventate padri e contemporaneamente fratelli e figli. Oppure Daniele Castrizio, l’archeologo docente di Numismatica nell’Università di Messina, che perde il suo sguardo nel gruppo di statue (sono certo che lui le vede) al quale, secondo la sua ricostruzione, appartenevano i Bronzi, ovvero Eteocle e Polinice, i fratelli avversari legati al mito di Edipo. Ma anche il tedesco Vinzenz Brinkmann e il giapponese Koichi Hada sembrano veleggiare nel tempo e nello spazio. «Per Castrizio e Schepis è ancora più evidente e più sentito perché sono anche reggini, hanno un coinvolgimento doppio», nota Mollo.
Nel film c’è tanta Calabria, infatti. Ed è questa la scommessa principale del regista. Capace di evitare ogni retorica, e ancor più ogni vecchia polemica (senza dimenticarla), sui Bronzi e sul loro ritrovamento, il film corre volontariamente il rischio di altre retoriche: quelle sui migranti morti a Cutro e sulle minoranze etniche come i Rom; sui sogni degli adolescenti nati in Calabria e quelli di donne provenienti da terre tempestose come l’Ucraina; e ancora sulle tradizioni come la festa dei santi medici Cosma e Damiano, patroni di Riace, anche loro arrivati dal mare. «Ho cercato storie e personaggi – racconta Mollo – per raccontare come hanno visto per la prima volta i Bronzi. Si intrecciano i desideri di Carlotta, adolescente di Riace dalla pelle nera, piena di slancio verso il futuro che vede in Calabria (un atto rivoluzionario), con quelli dell’ucraina Angela che vive a Roccella e del rom Damiano che scrive una sua lettera alle statue. In loro ritroviamo qualcosa di noi e capiamo meglio l’aura, il fascino, il potere, la forza attrattiva, il carisma che esercitano su tutti».
Anche loro, a pensarci bene, sono stati migranti e naufraghi. Si ritiene che i Bronzi siano stati portati in un primo tempo dalla Grecia (probabilmente Argo) nella Roma imperiale, per poi tornare indietro in un viaggio finito in un naufragio, che sarebbe stato dimenticato per sempre se il sub romano Stefano Mariottini non li avesse trovati in fondo al mare di Riace nel 1972. «Il loro è un messaggio di pace che attraversa il tempo», aggiunge il regista. «E anche se Eteocle e Polinice si diedero a vicenda la morte, le statue erano una sorta di protocinema perché raccontavano una storia, che voleva essere esempio e monito per desiderare la pace. La guerra civile che sfocia nella pacifica convivenza: per questo pare che le statue furono portate a Roma e forse anche per questo sono arrivate a Reggio subito dopo la rivolta, che fu quasi guerra civile. E i 50 anni del loro ritrovamento che hanno coinciso col tragico naufragio di Cutro non sono un caso, con i Bronzi nulla è un caso». C’è qualcosa di mistico.
La regia del film è condivisa con Alessandra Cataleta: «Ci conosciamo da 20 anni e abbiamo imparato il cinema insieme. Anche se il progetto è mio, mi è sembrato giusto condividere la regia: un grande lavoro di squadra per un progetto complesso e un anno intero di riprese».
Tra gli autori della sceneggiatura c’è Giuseppe Smorto, giornalista già vicedirettore di “Repubblica” e autore di molti libri, alcuni sulla sua Reggio. «Il mio è stato un piccolo apporto – ci racconta – ho fatto il giornalista anche in questo caso, aiutando per l’individuazione di personaggi veri, non da fiction. Mollo è un regista di valore assoluto, capace di raccontare una Calabria in grado di uscire dall’ultimità (in senso economico) e legarsi al proprio territorio, al centro del Mediterraneo. Un’operazione sentimentale, di promozione culturale, attraverso persone cui i Bronzi hanno cambiato la vita».
In «quell’unico tempo» che Mollo è riuscito a raccontare, probabilmente ai Bronzi tocca pure il compito di guidare una rinascita della Calabria, anche da sé stessa.
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