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’Ndrangheta e diritti negati a Siderno: strategia della tensione figlia della paura di perdere?

Cosa sia la strategia della tensione, è bene ricordarlo. L’enciclopedia Treccani riassume così: «Strategia eversiva basata su una serie preordinata e ben congegnata di atti terroristici, volti a creare in Italia uno stato di tensione e una paura diffusa nella popolazione, tali da far giustificare o addirittura auspicare svolte di tipo autoritario». L’espressione fu coniata dal settimanale inglese The Observer, nel dicembre 1969, all’indomani della strage di piazza Fontana. Quella bomba «costituì la risposta di parte delle forze più reazionarie della società italiana, di gruppi neofascisti, ma probabilmente anche di settori deviati degli apparati di sicurezza dello Stato, alla forte ondata di lotte sociali del 1968-69 e all’avanzata del Partito comunista. L’arma stragista fu poi usata nel 1970 (strage di Gioia Tauro), nel 1973 (strage della questura di Milano), nel 1974 all’indomani della vittoria progressista del referendum sul divorzio (stragi dell’Italicus e di piazza della Loggia), e nel 1980 (strage di Bologna)».
A Siderno la strategia della tensione va in scena da qualche settimana. Per motivi ancora oscuri, un gruppo di potere precostituito e radicato come una metastasi sul territorio, teme di perdere la mangiatoia dalla quale da anni beatamente si nutre, succhiando alla cittadina il sangue e l’anima. Non indisturbato però. Operazioni di polizia come “Crimine”, “Recupero”, “Bene comune”, “Canadian connection” e “Bacinella”, hanno eroso la testa di questa piovra, l’hanno indebolita, hanno mandato in galera boss, manovali e portaborse, e persino un sindaco, giudicato colluso con i clan. Oggi forse, al predominio incontrastato, in questi uomini senza onore e senza dignità, è subentrata la paura. Paura di perdere tutto.
I motivi, lo ripetiamo, sono sconosciuti. Cosa i clan di ’ndrangheta abbiano intravisto (o non intravisto) di tanto pericoloso per loro, nella nuova amministrazione di Siderno, non sappiamo. Ma una cosa è certa. Una così smaccata e clamorosa esplosione di paura in una cosca mafiosa, in Calabria, a memoria di cronista, non si era vista mai. Tanta paura, da reagire con una incruenta (finora) ma a suo modo eclatante strategia della tensione, senza curarsi di attirare su di sé enormi attenzioni, rappresenta l’esatto contrario di ciò che i clan da sempre vogliono, agire nell’acquiescienza e nel silenzio. Tanta paura da rischiare di consegnare alla sindaca Maria Teresa Fragomeni e alla sua Giunta una patente di intoccabilità, a prova di infiltrazione.
Sembra il mondo alla rovescia, e forse lo è. Non sappiamo se la dottoressa Fragomeni rappresenti davvero per le ’ndrine uno spauracchio di questa portata. Si può solo sperarlo. Cinquant’anni fa, in quegli anni di piombo, quelle bombe temevano molto più dell’avvento di un regime comunista: temevano l’avvento di “cose di sinistra”, come la tutela dei lavoratori, il divorzio, l’aborto, la parità tra i sessi, i diritti della persona. Diritti di cui oggi tutti godiamo, alla faccia di quei criminali assassini, nascosti sotto il paravento di pezzi corrotti delle istituzioni.
I fatti dicono che i clan che fino a oggi hanno prosperato a Siderno – pure loro guidati da criminali assassini, pure loro sotto il paravento di pezzi corrotti delle istituzioni – hanno paura. Vedremo se una sindaca di centrosinistra sarà davvero in grado di rappresentare una nuova stagione di diritti riconosciuti, per questa bellissima e martoriata città.

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