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Goel, la bussola antimafia. Un “viaggio” nell’impegno del gruppo cooperativo di Gioiosa Ionica

Da 7 anni senza intimidazioni. Il presidente Linarello: «Noi stiamo cercando di fare da apripista, convinti che le comunità locali abbiano potere». Il sostegno di Libera: «Battersi per i diritti che le cosche annullano»

Da sette lunghissimi anni non subiscono aggressioni di alcun tipo, mentre prima in media contavano tre aggressioni l’anno tra bombe, incendi e danneggiamenti. Il messaggio accende speranza e più che buoni propositi. E di fatto nessuno della grande comunità di imprenditori, cooperatori, attivisti che fa capo alla missione Goel è più stato danneggiato dalla ’ndrangheta, come invece accadeva prima. Vincenzo Linarello, fondatore e presidente di Goel – Gruppo cooperativo, classe 1970, di Gioiosa Ionica, ha lanciato un messaggio che sta facendo il giro dello stivale e fa parlare, dopo la puntata di “Presa diretta”, del gruppo cooperativo che oggi unisce 13 cooperative sociali, due cooperative agricole e altrettante associazioni, una fondazione e 33 tra aziende agricole e imprese sociali che danno lavoro dipendente a 325 persone e oltre a sostenere un grande numero di collaboratori. Il nome? Evocativo. È una parola biblica, significa “il riscattatore”.
«Il messaggio non è casuale ma è pensato – racconta Vincenzo Linarello – vedendo la reazione della gente dopo gli attentati di ’ndrangheta che ovviamente era disfattista. La gente diceva “qui è una terra maledetta, non cambierà mai nulla”. Tutto questo ha un nome, si chiama “depressione sociale” e cosa significa lo abbiamo messo nero su bianco nel libro “Manuale dell’etica efficace”. La depressione sociale è un potente strumento di controllo del territorio perché un popolo sfiduciato non ha bisogno di essere represso perché nemmeno ci prova a cambiare le cose. È la speranza che è infatti pericolosa per le mafie così per tutti coloro che non vogliono la libertà e la democrazia».
Per Linarello questa è una vera strategia da applicare, più del buon umore che può essere contagioso: «Quando la gente comincia a sperare, quando percepisce che il suo impegno vale la pena e può servire la gente si attiva e quindi cominciano a nascere iniziative e i “no.” Noi di Goel stiamo cercando da fare di apripista. Stiamo facendo vedere che le comunità locali hanno potere».
Ma questa storia ha molti inizi e ci ricorda che nulla nasce per caso. Una precisazione che arriva dritta quando chiediamo al calabrese illuminato cosa faceva prima: «Io non ho una vita precedente – continua – la mia è stata una scelta di fede. Gesù e i Vangeli li ho sempre letti in una chiave di liberazione anche dalle ingiustizie. Ero davvero molto giovane, a 18 anni ho sentito che Gesù mi chiamava a mettermi al servizio della libertà, della dignità, della giustizia sociale. E da lì in poi ho cominciato a mettere insieme i mattoncini. Dapprima ho fatto un’associazione locale, poi è nata una piccola comunità di vita, Comunità di Liberazione dove io ancora vivo, poi è nato Goel, con l’obiettivo di innescare percorsi di riscatto e cambiamento, opponendosi alla ’ndrangheta e dimostrando che l’etica oltre che giusta può anche essere efficace. Poi va menzionato il lavoro della Diocesi di Locri con Giancarlo Bregantini vescovo. L’incontro con Nicola Gratteri e con tante persone significative nella mia vita. Insomma, il mio impegno ha radici lontane».
Un impegno necessario in una terra in cui la mafia ha cambiato pelle: «La ’ndrangheta oggi ha consolidato quel sistema di alleanze con la massoneria deviata: quindi in realtà in Calabria ci sono tanti volti della ’ndrangheta. Vi è quella stracciona e rurale che chiede la mazzetta ai supermercati sotto forma di assunzioni per figli e parenti, e poi quella evoluta impegnata più direttamente in politica che ha fatto un salto di qualità da un punto di vista soprattutto economico e che si è infiltrata nei luoghi dell’economia e dello Stato». E in questo contesto Goel è un faro: «Noi ci definiamo una comunità di riscatto – puntualizza il nostro calabrese resistente – e in realtà le attività economiche non sono il vero obiettivo. Noi abbiamo intuito che per rendere autorevoli certe proposte che vengono fatte ai calabresi prima di dirle bisogna farle. I miei conterranei ne hanno viste tante, illusioni, disillusioni e ormai credono poco alle parole. Se al nostro popolo vogliamo indicare una direzione prima di tutto dobbiamo percorrerla. Noi siamo uomini e donne della Calabria, attivi su tre province, che operiamo in settori diversi ma consapevoli che il proprio lavoro ha una valenza politica nel senso più genuino del termine e non partitica. La nostra è una visione di cambiamento che vogliamo diffondere all’interno del territorio». E il messaggio per i giovani è uno: «Prendete atto di quello che è accaduto. La vicenda delle feste della ripartenza è emblematica: alle aggressioni mafiose abbiamo risposto con una mobilitazione di speranza e la ‘ndrangheta ha fatto un passo indietro. Questo dice tutto. Se stai zitto silenzio e sopporti sei nelle loro mani e riconosci alla criminalità un potere che in realtà non ha. E per questo diciamo “non abbiate” timore, mettetevi insieme perché il “noi” è più potente del potere mafioso».

Chi alza la testa non è solo

E il coro di chi dice no è abbastanza forte. Il ristorante di Pino Trimboli si trova a Martone, alle porte dell’Aspromonte. Ha aperto nel 1998 e nel 2008 ha subito le prime minacce da parte della ’ndrangheta che gli ha chiesto 50.000 euro per “salvare” la sua famiglia e il suo locale. E così ha deciso di denunciare tutto ai carabinieri per lasciare un buon esempio ai suoi figli.
Annalisa Fiorenza è un’imprenditrice calabrese che è proprietaria di un’azienda agricola di Monasterace. E tiene ancora il trattore che le hanno bruciato nel 2015 come se fosse un monumento. Tra il 2009 e il 2015 ha subito sette intimidazioni. Il presente accende però speranza. Annalisa fa parte del Goel che nel 2015 organizzò una festa e con i soldi raccolti comprò per lei un nuovo trattore. Oggi le sue arance vengono distribuite da Goel assieme agli altri produttori.
Alle porte dell’Aspromonte vengono lavorati gli agrumi del consorzio “Goel Bio” in un enorme capannone. I soci sono i proprietari e decidono in assemblea i prezzi di conferimento. Messaggio che fa riflettere quello di Enzo Marra di Reggio Calabria, che ha fatto suo lo slogan “La libertà non ha pizzo”, ma lancia un messaggio in cui tanti si possono riconoscere. Anche chi pensa che la mafia spari e basta: «Chi ha un lavoro ha dignità – ha detto l’imprenditore calabrese Enzo Marra ai microfoni di “Presa diretta” –. E un datore di lavoro che trattiene dei soldi dal tuo stipendio o se li fa restituire è paragonabile alla Mafia o alla ’ndrangheta. È sempre un pizzo». Enzo fa parte della rete di Libera. Ma tanti sono i calabresi onesti che fanno la differenza in silenzio come ha rimarcato anche il referente regionale di Libera: «La gente – ci ha detto Giuseppe Borrello – si è stancata di subire passivamente un potere abusante che negli anni ha determinato solo povertà, emigrazione, emarginazione e negazione di diritti. E in tanti sono riusciti a trasformare la loro rabbia in partecipazione. Molto spesso si pensa erroneamente che qui regni l’immobilismo e che la Calabria sia dominata dalla presenza asfissiante della ’ndrangheta e dal fatalismo. La Calabria è invece piena di esempi concreti e di donne e uomini che hanno lottato anche a costo della loro vita e che continuano a combattere per rendere la Calabria un posto migliore. Raccontare queste esperienze e queste storie è molto importante perché mostrano l’immagine di una terra che non si rassegna e di una regione viva che vuole lottare e reagire e che con grandi sacrifici porta avanti un percorso di resistenza e di resilienza».
Secondo Borrello insomma attraverso la partecipazione è importante costruire speranza e concretezza. E in questo cammino basta fare che la società civile faccia il proprio dovere scrollandosi di dosso quella patente di antimafioso o di eroi: «L’antimafia? Non mi piace parlare di antimafia – conclude – ma di responsabilità. Perché tutti dovremmo essere antimafiosi. Fare antimafia significa provare a creare in maniera concreta un’alternativa a cosa nostra e alla ’ndrangheta. E quindi partire dall’utilizzo sociale dei beni confiscati e battersi per tutti quei diritti che le mafie tolgono: il diritto al lavoro, il diritto allo studio e il diritto alla sanità».

 

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