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Quel lungo e solido filo di passione che lega Reggio ai colori amaranto

Una città che si identifica con la sua squadra

C’è un lungo filo amaranto, che parte dal lontano 1914 (anno di inizio della Grande Guerra), attraversa la Storia e arriva fino al Terzo Millennio, legando in maniera indissolubile Reggio e la sua Reggina. Una passione strana, difficile da spiegare a parole. Ma una passione che colpisce subito gli “stranieri” e li stordisce, li confonde e poi li cattura. Perché anche loro capiscono che si tratta di una fede sincera, di un legame che si tramanda di padre in figlio, di generazione in generazione. Così come canta Raffaello nel meraviglioso inno della Reggina, che ti entra dentro e ti resta sotto la pelle. Anche sotto la pelle degli “stranieri” che ormai non sono più tali e sono diventati più reggini dei reggini stessi. Lo stadio “Oreste Granillo” vibra di emozioni. Quando i giocatori in maglia amaranto scendono in campo, si avverte un sentimento autentico e questa “verità” conquista anche chi di Reggio non è, ma indossa o difende quei colori così sanguigni.
Reggio e la Reggina vivono in simbiosi, in un continuo scambio d’amorosi sensi – come diceva il Poeta – che si nutrono a vicenda. Non è un caso, non può essere un caso, se il culmine della Primavera di Reggio si visse nel 1999 (il 13 giugno se vogliamo essere precisi) quando la Reggina scalò vette ardite e arrivò per la prima volta in Serie A. Non ci credeva nessuno. In tanti non ci credevano neppure dopo il gol di Tonino Martino a Torino e neppure quando diedero vita a una festa indimenticabile prima in Piazza del Popolo e poi per le vie di una città pazza di gioia e colorata di amaranto.
Il sogno che si realizza non è mai bello per come lo si era immaginato, eppure quella Reggina riuscì a trascinarsi dietro una città intera ed a farla risorgere. Senza escludere nessuno. E non è un caso, non può essere un caso, se gli anni più felici e ricchi di Reggio sono coincisi con quelli della Reggina in Serie A. E non è un caso, non può essere un caso, se la discesa di Reggio agli inferi è coincisa con il fallimento della Reggina e la sua cacciata dall’Olimpo del calcio. Semplici coincidenze? Beato chi ci crede, tuttavia tre indizi...
Adesso, però, la Reggina è ripartita. Dopo qualche tentativo andato a vuoto, adesso con l’avvento di un imprenditore entusiasta come Saladini vola e ha giù stupito mezza Italia. L’altra metà, invece, ha cominciato a sognare. I suoi tifosi si fanno onore (e danno onore alla città) in tutti gli stadi d’Italia. La Reggina vince, applausi. La Reggina perde, applausi lo stesso. Perché gli amaranto hanno comunque dato tutto in campo, le maglie sono sudate e la via è quella giusta. L’ha capito anche chi non va allo stadio e segue la Reggina con il cuore.
Questa Reggina può davvero ridare slancio e felicità anche a una città che oggi fa fatica a riconoscere se stessa e il suo (antico) splendore. Reggio oggi si specchia e si vede brutta e maltrattata dai suoi politici. Sono dovuti arrivare Saladini e Cardona per ricordare a Reggio cos’è davvero. Ed è dovuto sbarcare mister Pippo Inzaghi, già capocannoniere della Serie A e vincitore di scudetti, Champions League e Mondiali, per dire a tutta Italia: «Guardate che Reggio è bellissima e io e la mia famiglia qui viviamo alla grande. Ho girato il mondo, ma il Lungomare di Reggio è unico. Non ha eguali. E a me e alla mia compagna piace molto passeggiare per le vie del centro».
Parole semplici e autentiche, pronunciate da un campione nel calcio e nella vita. Una persona vera, Pippo Inzaghi. Che si è fatto travolgere dall’amore di una città che vive per la Reggina. Lui l’ha capito e ricambia. Facendola sognare ad occhi aperti: la serie A come un obiettivo, non come un’ossessione. La Serie A figlia dell’impegno e del lavoro. E anche Reggio, se si impegna e lavora, può rialzarsi. Inzaghi lo sta insegnando. I politici impareranno?
Ecco cosa intendeva il presidente Marcello Cardona quando ha messo l’allenatore non solo al centro del progetto-Reggina ma al centro del progetto-Reggio, che poi è la stessa cosa perché la squadra di calcio altro non è che una metafora di Reggio. La Reggina racchiude in sè tutti i valori di quella città bella e gentile che fa innamorare senza far niente, rimanendo semplicemente sdraiata come una vecchia signora tra il verde degli alberi secolari e l’azzurro del mare, accarezzata dalla brezza del vento cavaliere e godendosi un sole spettacolare anche alla fine dell’anno. Sullo sfondo, al tramonto, per completare l’opera d’incanto, c’è pure un cielo che spesso si illumina di amaranto, il colore dell’immortalità. Il nome amaranto, infatti, deriva dal greco e significa “immortale” o “che non appassisce”.
Anche Giosuè Carducci scriveva «l’immortale fiore di amaranto». Dicono che questo colore simboleggi la capacità di meravigliarsi, di sapersi ancora stupire dinanzi a certe cose, persone o accadimenti; nonché la capacità di sorprendere e di lasciarsi sorprendere. Ma che colore avrebbe dovuto avere la Reggina? E di quale colore si sarebbero dovuti innamorare Pippo Inzaghi e la sua compagna Angela?

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