“Ricompattarsi” è la significativa parola d’ordine in casa amaranto. La Reggina non cerca alibi, ma intende uscire alla svelta da quella che definisce, dopo tre sconfitte consecutive, una (semplice?) «crisi di risultati». Lo testimonia personalmente il suo presidente: Marcello Cardona, 67 anni, reggino doc, personaggio decisamente autorevole. Sintesi del suo “score”: dal ’97 ha svolto il ruolo di arbitro (32 partite in A e 88 in B); fra l’altro, oltre che questore, è stato prefetto, procuratore arbitrale nazionale (dal 2003 al 2008) e ha ricoperto diverse altre mansioni nell’anticrimine; e non solo.
Al vertice della Reggina – di proprietà dell’imprenditore Felice Saladini – si propone, si cimenta, si batte con passione dal giugno scorso. La Reggina trova l’occasione per l’uscita dal tunnel nella trasferta di sabato alle 14 contro il Cittadella. Successo inderogabile cercasi, ritrovando così la bussola. Volli fortissimamente volli.
Che cosa ha detto ai calciatori ai quali è molto vicino?
«Abbiamo preso atto delle sconfitte – ci dice Cardona senza giri di parole – pur avendo giocato bene tranne che per qualche scampolo. Sì, crisi di risultati. C’è sconforto, ma la squadra ha dato un grande segno di maturità proprio quando è tornata arrabbiata da Palermo. Un segnale importante sul pentagramma dei sentimenti».
Quali echi ha registrato da osservatori di sua conoscenza?
«Guardi, ho avuto modo di parlare con diversi esperti. Le cito il pensiero di un dirigente dell’Inter che segue la Serie B per il club nerazzurro. Nel suo rapporto ha avuto modo di affermare che la Reggina produce il gioco migliore del campionato cadetto».
E le sconfitte consecutive allora?
«Viste le partite, l’analisi non è complicata. Quando, sotto di un gol per il rigore di Brunori, abbiamo pareggiato con i rosanero, ero convinto che avremmo vinto con il Palermo».
Poi è subentrato il kappaò interno con il Pisa.
«Qui è successa una cosa incredibile. Bisogna essere dentro per sapere come stanno le cose in modo da evitare i facili, gratuiti commenti. Sette dei nostri ragazzi lamentavano febbre e dissenteria, cominciata proprio nello spogliatoio di Palermo. Inzaghi era stato a casa per tre giorni a causa della febbre. Ripeto, non cerchiamo alibi, ma i fatti sono fatti».
La terapia qual è?
«Dobbiamo restare calmi, non farci prendere dall’ansia. Fare attenzione, rimanere uniti, tranquilli. Perciò ho ritenuto eccessivo qualche fischio a fine gara, anche se poi tutto è rientrato e sono subentrate la forza del cuore e la proverbiale generosità del tifo».
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