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Reggina, alla scoperta delle cause della crisi

Continua il periodo nero della squadra di Pippo Inzaghi che contro il Parma ha collezionato la settima sconfitta in nove partite

Ognuno con le proprie responsabilità. Senza cercare colpevoli, ma con il piglio maturo di una riflessione non procrastinabile, indispensabile per leggere la profonda crisi vissuta della Reggina e per rispetto nei confronti della proprietà, dei tifosi e della città.
Sette sconfitte in nove gare: che qualcosa non stia funzionando è ovvio. Sostenere il contrario, appigliandosi ad alcune buone prestazioni (concetto opinabile), alla sfortuna o ai ripetuti errori arbitrali rischia di essere riduttivo.
Gli sforzi della società Poco o nulla può essere imputato alla società. Felice Saladini ha fatto un miracola in estate e più del possibile fino ad ora. Ha salvato il club da un fallimento sicuro, ha avviato un concordato che garantirà il futuro del club, ha voluto ed affidato la guida della squadra ad uno dei migliori allenatori sulla piazza. Gli investimenti sul mercato, almeno quello estivo, non sono da sottovalutare: l’esborso è stato notevole con un monte ingaggi elevato.
Scelte tecniche e organizzazione L’inizio di Filippo Inzaghi e la sua Reggina è stato esaltante. Gli amaranto hanno subito appagato la voglia di bel gioco richiesto dalla società, trascinando l’ambiente verso una classifica orgogliosa e meritata. Nel girone di ritorno sembra andare in campo una squadra con interpreti diversi, come se non fossero gli stessi dell’andata. Al tecnico si possono attribuire delle responsabilità limitate, probabilmente confinate ad alcune scelte troppo timorose a Cittadella e soprattutto a Cosenza, quando la squadra in vantaggio ha subito una rimonta difficilmente accettabile. Nel derby in particolare rinunciare ai giocatori di maggiore qualità ed abbassare il baricentro arretrandolo irreversibilmente, ha contribuito alla sconfitta. In un momento in cui gambe e testa non reggono affidarsi ad una solidità difensiva ormai smarrita è apparso un azzardo, pagato caramente. C’è poi un aspetto che in queste settimane lascia qualche perplessità: se è vero che il 4-3-3, marchio di fabbrica di Inzaghi, ha condotto ad una prima fase eccezionale, è altrettanto vero che in un periodo di crisi come l’attuale si sarebbe potuto provare qualcosa di nuovo o diverso, magari irrobustendo la difesa e schierando Menez più vicino alla porta considerando che il francese rimane l’uomo più pericoloso della Reggina.
La solita “squadra” Per la terza stagione consecutiva la Reggina vive un periodo negativo, consumando l’ennesimo e lungo passaggio a vuoto così come successo con Toscano e poi con Aglietti. Non può essere un caso, nessuna altra compagine della cadetteria ha vissuto una simile evoluzione. Gli amaranto hanno una delle rose con la media età più alta della B: la terza per media-partita ed è una caratteristica che si è sempre ripetuta negli ultimi anni (nello scorso campionato la Reggina era la compagine più “esperta” del torneo, nel 2020-2021 la seconda dietro la Ternana). Ormai la cadetteria viaggia sulle necessità di freschezza, rapidità e dinamismo in tutti i reparti. Che gli amaranto faticano a trovare.
Poche alternative Con il campionato che si avvia alla conclusione sembra ormai chiaro che il contributo della panchina non è al livello dei 13, 14 giocatori più utilizzati come titolari. Contro Pisa, Cosenza e Parma, le sfide sono state decise, in negativo, dagli ingessi determinanti di calciatori avversari: Sibilli e Gliozzi nei toscani, Nasti nel Cosenza, Camara nel Parma. La Reggina e Inzaghi trovano poche risorse per ribaltare situazioni sfavorevoli.

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