Con la rivolta dei migranti, scatenatasi tra il 7 e il 9 gennaio di dodici anni fa, Rosarno ha scritto una delle pagine più tristi della sua storia. I saccheggi, gli assalti a cose e persone, gli scontri tra le opposte fazioni sono stati oggetto di contrastanti valutazioni da parte dell’opinione pubblica mondiale, suggestionata dai resoconti della carta stampata e delle televisioni.
Il risultato d’immagine è stato devastante. Da “città cosmopolita, dell’accoglienza e dell’integrazione”, come veniva precedentemente etichettata, Rosarno è stata repentinamente declassata, immeritatamente e con deplorevole superficialità, ad emblema di cittadina xenofoba e razzista della peggiore specie. Con un colpo di spugna vennero cancellati due decenni di convivenza pacifica, a partire dai primi anni Novanta del secolo scorso, quando ebbero inizio i flussi immigratori irregolari di giovani extracomunitari, fuggiti dalle guerre, dalle dittature, dalle carestie.
Ma a distanza di dodici anni si può affermare che tali buoni propositi si siano realizzati e che la questione migranti sia stata gestita dalle istituzioni con risultati soddisfacenti?
Basta dare uno sguardo in giro per accorgersi che quasi nulla è cambiato. A parte provvedimenti tampone, dettati dalla necessità di fa fronte alle emergenze, nessun piano strutturale è stato approntato per risolvere tutte le problematiche rimaste inevase.
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