Rocco Morabito, il broker internazionale della cocaina estradato dal Brasile, secondo ricercato in Italia per pericolosità criminale dopo Matteo Messina Denaro, i crismi dello "svelto" li aveva già dimostrati fin dalla prima metà degli anni '80.
Rocco "u Tamunga", un nomignolo affibbiatogli per la passione nutrita per un vecchio modello di fuoristrada militare tedesco fabbricato dalla Dkw, al pari di moltissimi delle giovani leve della 'ndrangheta della piana di Gioia Tauro e della Locride, sbarca a Milano e si fa subito valere negli ambienti criminali. Un terreno fertile per fare soldi ma, soprattutto, per intessere rapporti, conoscenze con personaggi dello spettacolo e del mondo degli affari, un percorso che porta fino ai nostri giorni, con la 'ndrangheta ormai infiltrata profondamente nel tessuto sociale ed economico della Lombardia.
Uomo di fiducia dello zio Domenico Antonio Mollica: la faida di Motticella
Ma la 'bella vità non dura mai a lungo per uno ndranghetista, e tanto meno per Rocco "U Tamunga", diventato nel frattempo uomo di fiducia dello zio Domenico Antonio Mollica, uno dei protagonisti negli anni '80 della sanguinosa faida di Motticella, scoppiata all’interno della cosca "africota" a seguito di contrasti per la divisione del riscatto del sequestro della farmacista Concetta Infantino, originaria di Ferruzzano, a quattro passi da Africo. Rocco Morabito, nel 1994, impatta contro la legge, quando tenta di pagare oltre tredici miliardi di lire ad agenti sotto copertura scambiati narcos, in cambio della fornitura di una tonnellata di cocaina. Da quel momento, dopo essere riuscito a schivare le manette, Morabito è uccel di bosco e durante un arco di quasi venticinque anni, tutti trascorsi tra Brasile, Argentina e Uruguay, corrompendo settori della vita pubblica, riesce a sottrarsi alla cattura dei carabinieri in varie occasioni, fino all’estradizione di ieri dal Brasile. In Italia lo aspetta una condanna definitiva a trent'anni di reclusione.
I locali milanesi inondati di "polvere e champagne"
Appena venticinquenne, avvia - con la regia della cosca madre "africota" dei Morabito-Palamara -Bruzzaniti - un fiorente traffico di stupefacenti, eroina e cocaina, inondando i locali della movida meneghina di "polvere e champagne", ricavandone cifre vertiginose. E' il balzo che permette alla 'ndrangheta della Locride di trasformare i soldi dei sequestri di persona in attività visibili, lecite, soprattutto nei commerci e nella gestione dei locali notturni.
Rocco Morabito è uno dei nuovi volti a cui le cosche della 'ndrangheta affidano la loro internazionalizzazione, soprattutto monopolizzando l’acquisto di partite ingenti di cocaina dai 'cocaleros' mesoamericani, scalzando Cosa Nostra a colpi di miliardi di vecchie lire, fino a conquistare la totale fiducia dei vari cartelli del sud America per la grande disponibilità di plata (soldi) e per la puntualità dei pagamenti. Pur avendo grande credito nelle gerarchie della sua cosca di appartenenza, non ha mai occupato un grado strategico elevato nell’organigramma dei Morabito-Bruzzaniti-Palamara, pur essendo stato uno dei creatori di ricchezza del gruppo criminale di Africo e di altre famiglie a esso collegate. Nella Milano da bere, Rocco Morabito, oltre a manovrare elevate quantità di stupefacente, è uno dei protagonisti degli anni d’oro delle discoteche, dei lounge bar famosi, muovendosi spesso tra piazzale Baracca e piazza Diaz, dove, a frotte, giungono tutte le sere i rampolli della borghesia milanese in «cerca di forti emozioni».
La valigetta con dentro 2,9 miliardi di vecchie lire da consegnare ai narcos colombiani
Nel curriculum criminale di Rocco Morabito c'è anche un fatto di ormai quasi 30 anni fa e che all’epoca saltò fuori da un’inchiesta milanese: il trafficante internazionale di droga, uno dei più importanti al mondo, venne fotografato dagli investigatori mentre, il 15 marzo del 1994, in doppiopetto grigio, accompagnato dal cognato Domenico Mollica, teneva in mano in piazza San Babila, pieno centro di Milano, una valigetta con dentro 2,9 miliardi di lire dell’epoca. L’inchiesta milanese, coordinata all’epoca dal pm Laura Barbaini, poi passata alla Procura generale e ora in pensione, portò a scoprire che Morabito stava consegnando quei soldi destinati ai narcos colombiani. Sulla base di quell'indagine, che accertò come il boss, che all’epoca non aveva ancora 30 anni, passasse da incontri in San Babila e nella zona della Galleria Vittorio Emanuele a quelli nelle banche in Svizzera, Morabito fu condannato nel '97 dalla Corte d’Appello milanese per associazione mafiosa e traffico di droga a 28 anni di carcere, poi confermati dalla Cassazione nel 2000. L’ordine di arresto per i 30 anni da scontare, che ha portato all’estradizione, invece, è stato firmato dalla magistratura di Reggio Calabria per una condanna successiva.
Nel covo in Uruguay Morabito aveva 12 carte di credito e 13 cellulari
Rocco Morabito, il boss della 'ndrangheta re del traffico internazionale di droga, nella villa con piscina a Montevideo in cui fu arrestato nel 2017 aveva con sé 12 carte di credito e 13 telefoni cellulari. Materiale che gli serviva per gestire i suoi affari illeciti e mantenere i rapporti con i suoi sodali sparsi in tutto il Sud America ed in vari Stati europei. Il boss nel suo rifugio uruguayano aveva anche una serie di carnet di assegni, una consistente somma di denaro in contanti, una Mercedes ed un passaporto brasiliano. Il 24 giugno del 2019 Morabito evase, insieme ad altri tre detenuti, dal carcere di Montevideo attraverso un tunnel e si rifugiò a João Pessoa, in Brasile, dove fu arrestato per la
seconda volta il 25 maggio del 2021. Era da quest’ultima data, dunque, che si attendeva l’estradizione in Italia del boss, concretizzatasi stamattina con il suo arrivo nell’aeroporto di Ciampino.
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