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Gioia Tauro perde la testa per Swamy Rotolo, "miglior attrice" italiana

Al “Piano delle fosse”, piccolo borgo antico e vero cuore pulsante della città, ieri pomeriggio amici e parenti erano alle prese con i preparativi di una sobria ma sincera festa a sorpresa per la nuova stella emergente del cinema italiano Swamy Rotolo, la 17enne gioiese che martedì sera si è aggiudicata il prestigioso premio “David di Donatello” come miglior attrice protagonista per il film “A Chiara” del regista Jonas Carpignano. Tra gli stretti vicoli e la storica piazza di quel quartiere dove Swamy è cresciuta, ad attenderla c’erano gli affetti più cari, il nonno materno Giacinto, lo zio (fratello della madre) Pasquale e il cugino Antonio che interpreta la stessa parte anche nella finzione cinematografica, come gran parte della famiglia.

Swamy era sul treno che la stava riportando a Gioia dopo il trionfo sul palco. Insieme a lei, il papà Claudio, la mamma Carmela, la sorella Gresia, gli zii paterni Carmelo con la moglie e la figlia Giusy, sua cugina e sorella di Antonio, che si è guadagnata una nomination come miglior acconciatura. Swamy e Giusy, che prima della premiazione sono state ricevute anche dal presidente della Repubblica Mattarella. Mentre il treno scorreva veloce sui binari, nella piazzetta del centro storico era già pronto un piccolo red carpet.
Già pronta a tornare sul set «Ringrazio tutti per l’affetto che mi state dimostrando, in particolare la mia famiglia, che mi è stata sempre vicina», ha detto Swamy appena arrivata. «So – ha aggiunto – che c’è sempre lo zampino loro dietro queste belle sorprese. E grazie soprattutto alla città di Gioia Tauro alla quale ho voluto dedicare il premio. Lo dedico anche alla mia sorellina e a tutti i giovani, spero che i loro sogni si possano realizzare. È stata un’emozione incredibile; non credo di poter spiegare a parole quello che ho provato su quel palco. Il cinema per me è un posto magico e non vedo l’ora di tornare sul set».

Una predestinata

Cresciuta tra scuola e una famiglia numerosa e molto unita, la giovane attrice ha vissuto l’infanzia tra il quartiere Marina, dove risiede, e il borgo dell’antica Jeolia. Una vita normale, anche da adolescente: la passeggiata sul lungomare, la sera al bowling, d’inverno al centro commerciale. Ma Swamy è una predestinata. Un destino che si chiama “Gioia Film Festival”, rassegna che per 4 anni ha trasformato Gioia in un villaggio del cinema emergente organizzata da un’associazione, “Gioia 3.0”, fatta di tanti altri giovani come Maurizio Galluccio, Lucio Rodinò, Mimmo Pirrotta, con il supporto di Jonas Carpignano. Seduta su una sedia in plastica nelle sere d’estate di piazza Silipigni, Swamy seguiva con interesse tutte le proiezioni senza immaginare cosa il fato avesse in riserbo per lei. E proprio qui il regista italo-americano l’ha conosciuta meglio e ha proposto ai suoi genitori di girare un corto da protagonista dopo la comparsa ne “A Ciambra”.

L’incubo Covid

«All’inizio ne abbiamo parlato con qualche dubbio – racconta il cugino Antonio – nessuno aveva mai avuto a che fare col mondo del cinema, ma ci ha convinti la possibilità di interpretare noi familiari la stessa parte nella finzione, al suo fianco. Anche Swamy si è trovata a suo agio, il corto è andato benissimo e da lì è stato fatto il film». Sul progetto ha fatto irruzione però la variabile Covid, che ha interrotto per un lungo periodo le riprese effettuate a Gioia e Urbino e tra la Piana e l’Aspromonte. «È stato un periodo bruttissimo – racconta Antonio – pensavamo che tutto fosse andato in fumo».

Una famiglia perbene

Nella finzione una famiglia di ’ndrangheta dalla quale “Chiara” si vuole emancipare, nella realtà i Rotolo solo una famiglia di gran lavoratori nel campo dell’edilizia; il papà di Swamy, ex portuale, adesso fa il fabbro. «Non abbiamo avuto difficoltà a trattare certi temi – afferma Antonio – noi adulti certe cose le sappiamo non solo per averle lette sui giornali ma purtroppo anche per averle viste; Swamy invece, all’inizio ha avuto qualche titubanza proprio perché era fuori da queste logiche. Nel film è l’unica che ci risponde in italiano, ha voluto parlare italiano perché non sa il dialetto; alla fine si è sbloccata e ha fatto delle scene entrando talmente bene nella parte che anche noi da dietro le telecamere siamo rimasti stupiti. Ha superato quello che ci aspettavamo semplicemente essendo sé stessa».

Il futuro lontano

Per Swamy, che frequenta il “Severi”, dopo il diploma ci sarà la recitazione, lontano da Gioia: «Dobbiamo essere intelligenti noi di famiglia e starle vicino per non farla travolgere dal successo – spiega Antonio –. Lei rappresenta un riscatto per noi come famiglia e per la città intera».

La gioia dei genitori

Più emozionati loro che Swamy, dalla voce e dagli occhi luccicanti di mamma Carmela e papà Claudio trapelano gioia e orgoglio. «Mi sembra un sogno – dice Carmela – ma poi mi do un pizzicotto e capisco che è tutto vero, perché mia figlia se l’è meritato; è un’emozione indescrivibile, non riesco a dire quello che sto provando. Cosa c’è nel futuro di Swamy? Non saprei, per adesso ci godiamo il presente, quel che è certo che le saremo sempre vicini, io sarò sempre al suo fianco». Raggiante anche il papà Claudio, dal carattere molto riservato: «È un’accoglienza bellissima che però, sinceramente, mi aspettavo, perché portare un “David di Donatello” a Gioia è un evento epocale, inimmaginabile. Spero che mia figlia abbia un futuro roseo e che tanti altri giovani come lei possano riscattarsi e intraprendere la giusta strada. Ringrazio in assoluto Jonas Carpignano, l’unico che le ha dato una possibilità permettendole di arrivare così in alto».

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