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«Adriana Lecouvreur», un trionfo d’eccellenze per la serata di gala al Cilea di Reggio

Una serata difficile da dimenticare, il miglior modo possibile per chiudere l’anno del cinquantenario del ritrovamento dei Bronzi di Riace. E per celebrare – in felice coincidenza – i 120 anni dalla prima rappresentazione del capolavoro di Francesco Cilea. Nel teatro che porta il nome del compositore di Palmi, la serata di gala di “Adriana Lecouvreur” voleva essere un evento d’eccellenza, e tale è stato sotto ogni aspetto. Di partecipazione cittadina innanzitutto, visto l’afflato genuino di adesione emotiva, entusiasmo e orgoglio di appartenenza che in sala si è percepito, di livello artistico poi, visto il coinvolgimento di una compagnia di canto stellare, se non la migliore oggi su piazza molto vicina ad esserlo.

A cominciare dalla protagonista, il grande soprano Maria Agresta: una mirabile Adriana. Non tanto e non solo per la qualità del mezzo vocale – timbro sontuoso ed emissione perfetta che ben si conoscono – quanto per la statura d’interprete. La diva della Comédie Française, attrice idolatrata e donna innamorata – per semplificare: una primadonna soprano che interpreta una primadonna attrice – è ruolo infido, palestra in passato e non solo, di travisamenti inaccettabili. La Agresta evita tutte le trappole e segue la strada intrapresa dalle interpreti maggiori, e vengono in mente la Scotto e la Freni: misura negli accenti, e stile e gusto in grado di uscire vincenti anche dalla difficoltà tecniche più spinose che la partitura propone. Come nell’insidioso monologo del terzo atto, dove i due piani drammaturgici diabolicamente s’intrecciano, e nello spinosissimo finale, il «Poveri fiori» risolto con semplicità ed equilibrio “sciolti” in autentica commozione.

Accanto a simile primadonna, un Maurizio di Sassonia di pari statura. Il tenore Michael Fabiano, statunitense di origini scillesi (il comune dello Stretto gli ha appena conferito la cittadinanza onoraria) è una forza della natura: registro medio (su cui batte in pratica tutta la sua parte) di sfolgorante potenza, acuti radiosi, presenza scenica debordante. Unico neo: ha cantato tutto forte, come se si trovasse nell’immensità di un Metropolitan e o di un Covent Garden e non nel ben più piccolo Cilea, letteralmente travolgendo la Agresta nel duetto del primo atto. Piccole cose, che sarebbe stata cura del direttore d’orchestra mettere a posto alla prima prova.

Compagnia di canto «in braccio alle dovizie» anche nel resto del cast. Di rilievo assoluto i due co-protagonisti, il baritono Giuseppe Altomare, un Michonet di ruvida semplicità ed efficacia, e il mezzosoprano Silvia Beltrami, misuratissima Principessa di Bouillon. E adeguati i comprimari Alessandro Abis (il Principe di Sassonia), Tabita Romano (MademoiselleJouvenot), Maria Bagalà (MadamoiselleDangeville), Angelo Parisi (Quinault), Alessandro Stancato (Poisson), Giuseppe Taverriti (un maggiordomo), e soprattutto Roberto Covatta, perfetto come Abate di Chazeuil.

L’“Orchestra dei Conservatori calabresi e del Teatro Cilea” è probabilmente nata per l’occasione e sol per questo si pone al di sopra di ogni giudizio, visto il ragguardevole risultato. Resta il sospetto che il direttore Carlo Montanaro avrebbe potuto – oltre che “moderare” il tenore – curare qualche sfumatura espressiva in più, ma la tenuta dell’insieme è stata comunque decorosa. Nessuna moderazione invece, ma solo inchini per l’ormai glorioso Coro lirico “Cilea”, non troppo impegnato nella circostanza ma come sempre inappuntabile.

Nel segno della più solida tradizione, la regia del reggino, milanese d’adozione, Mario De Carlo ha puntato su scene fisse (di Alfredo Troisi) e quinte retroilluminate (con qualche purtroppo evidente errore tecnico “da fretta”) ma il quadro d’insieme era gradevole, e in particolare la resa del quarto atto (Adriana di spalle durante l’intermezzo in mezzo a marionette impiccate come presagio di morte) di grande intensità emotiva. Ci piace infine segnalare il corpo di ballo della compagnia “Sintesi” diretta da Armando Gatto (Greta Colonna, Lorenzo Gatto, Alessia Torchia, Milena Marotta, Fabiana D’Auria, Carmelo Damaio e IanBegishev), e un contributo particolare, quello degli allievi dell’indirizzo Design della moda del liceo artistico “Preti-Frangipane” di Reggio, che hanno realizzato i costumi indossati da Maria Agresta.

In mezzo a tanta bellezza, ci siamo sforzati invano di comprendere la ratio di un curioso volantino distribuito all’ingresso in sala contenente «suggerimenti per la buona immagine della città». Esempi? Non alzarsi, non lasciare accesi i cellulari «neanche per chattare», «non applaudire prima che il direttore deponga la bacchetta» e altre simili amenità. Il teatro Cilea, come accennato in apertura, era bellissimo e stracolmo, per una serata comunque riuscita come si voleva: trionfale, orgogliosa e commovente.

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