Da ieri la Calabria è in zona gialla. Un cambio di colore, come affermato nei giorni scorsi dal presidente della Regione Roberto Occhiuto, figlio più delle difficoltà di un sistema sanitario nel suo complesso fatiscente, che del numero di contagi che sta colpendo la Calabria in questa quarta ondata della pandemia di coronavirus. E pur tuttavia, i casi sono in continua crescita nella nostra regione ed in particolar modo nella provincia di Reggio Calabria dove ad oggi sono più di 36mila i casi registrati dall'inizio del monitoraggio risalente ormai a quasi due anni fa a quel febbraio 2020, data che significò l'inizio di un lungo percorso da affrontare in trincea per gli operatori sanitari.
La provincia reggina è quella che registra il maggior numero di casi e di attualmente positivi (2550). Sono, inoltre, 54 i pazienti ricoverati nei reparti ordinari e 7 ricoverati in terapia intensiva (12 i posti in totale). Con questo trend che sembra non arrestarsi, il rischio è che al GOM (Grande Ospedale Metropolitano) di Reggio Calabria la situazione possa peggiorare e che i reparti COVID, già quasi saturi, possano condizionare la cura quotidiana delle altre patologie.
Il nostro reportage
Al primo piano di via Giovanni Melacrino continua l'opera certosina dell'U.O.C (Unità Operativa Complessa) di terapia intensiva ed anestesia guidata dal direttore Sebastiano Macheda. Accanto al professore reggino una squadra encomiabile di medici, infermieri (guidati dal caposala Vincenzo Amalfi), Oss, che lavora in maniera instancabile da quasi due anni con grandissima abnegazione.
Sono stanchi, provati. I loro occhi rappresentano la voce più diretta, più di mille parole, di quello che hanno vissuto e di quello che stanno vivendo. In questo momento nel reparto di terapia intensiva del GOM sono ricoverati sette pazienti, 5 dei quali non vaccinati. Tra questi anche persone nella fascia 40-50 anni.
L'accesso alla terapia intensiva è, ovviamente, blindato. Chi entra deve necessariamente indossare una vera e propria "armatura" fatta di tute bianche usa e getta, mascherina, tre guanti, visiera. Solo così è possibile varcare la soglia d'ingresso e percorrere il corridoio che porta all'ingresso di un'ampia stanza dotata delle più moderne strumentazioni. E sì, perché è inconfutabile il dato di una sanità regionale ai minimi termini, ma è anche vero che esistono le eccezioni ed i casi di eccellenza. Ed il GOM, a tutti livelli, rappresenta uno straordinario esempio di come si possa operare nelle migliori condizioni.
Nel reparto di terapia intensiva
All'interno della terapia intensiva ci accompagna il dott. Eugenio Vadala’ , anestesista rianimatore dell’U.O.C di terapia intensiva: "In questo momento abbiamo ricoverati sette pazienti. Alcuni respirano in modo spontaneo, altri sono sedati ed intubati. Su sette, cinque non sono vaccinati e due vaccinati con doppia dose (quest'ultimi hanno delle importanti comorbidità, coesistenza di più patologie diverse). Sono tutti pazienti - ci spiega Vadalà - con polmoniti bilaterali da Sars-CoV-2 molto gravi che interessano l'80% del polmone e in alcuni pazienti l'intero polmone. L'età è molto varia, abbiamo anche pazienti di 45 anni. Ci sono dei pazienti che hanno una degenza molto più lunga, mentre altri sono arrivati da 3-4 giorni. Anche in questo caso purtroppo non c'è un'omogeneità di degenza perché una volta che un paziente Covid entra in terapia intensiva impiegherà molto tempo perché bisogna capire l'entità del danno, la risposta del paziente e che tipo di device noi utilizziamo. A questo proposito - ci spiega meticolosamente Vadalà - abbiamo il casco che è un device non invasivo, oppure dei pazienti intubati, o proprio stomizzati. La degenza media in questo momento dei nostri pazienti è di 10-12, 15 giorni al massimo.
Infermieri ed Oss in trincea
Tra i componenti del team sanitario che opera nel reparto di terapia intensiva del GOM, ci sono Annunziato Visalli, infermiere, e Mariella De Nisi, volontaria Oss: "Le giornate sono faticose, lunghe e cerchiamo di fare il possibile per assistere ed aiutare questi pazienti. Anche se alcune volte è una lotta impari contro questo virus che purtroppo distrugge i pazienti, distrugge i polmoni. Sono stati due anni lunghi, però dobbiamo andare avanti, non ci dobbiamo fermare. Un appello per le persone di vaccinarsi perchè è l'unica arma che abbiamo contro questo virus. Speriamo che coloro che non si sono vaccinati inizino a capire".
La testimonianza di un 45enne non vaccinato
Tra i sette ricoverati in terapia intensiva c'è anche un uomo di 45 anni non vaccinato, nel reparto del GOM da venerdì scorso. Ecco il suo racconto: "La mia esperienza Covid non è molto bella. Cosa posso dire oggi con il senno del poi in un letto d'ospedale? Avere una copertura vaccinale è molto importante, adesso io posso solo ringraziare il personale medico, infermieristico e questa struttura perchè sono vicini a me 24 ore su 24. Sono una parte di me, mi stanno facendo vivere e spero di guarire presto completamente da questa situazione molto brutta che non auguro a nessuno soprattutto perchè ha a che fare con la respirazione. Spero di rimettermi presto e sono sicuro che con loro vicino ci riuscirò. Certo, ora è importante che tutte le persone che ancora non hanno una protezione parlino con il loro medico e si vaccinino perché è molto importante".
Il prof. Macheda e il punto sulla quarta ondata
"Il trend purtroppo è da 2-3 settimane in aumento sia nel numero dei contagi e, proporzionalmente, nel numero dei ricoveri sia in area medica che in terapia intensiva. In questo momento - sottolinea Sebastiano Macheda, direttore dell'U.O.C. di terapia intensiva e anestesia - c'è stanchezza fisica, ma anche psichica. Ci confrontiamo con delle situazioni molto complesse dall'esito spesso sfavorevole. Molti pazienti hanno la stessa evoluzione, gli stessi quadri clinici. Si tratta di una situazione difficile da reggere e dal punto di vista psicologico lo vedo negli infermieri e negli Oss che sono quelli che sono molto più a contatto e per più tempo con i pazienti rispetto a noi che curiamo la parte clinica, l'aspetto terapeutico. Però poi - racconta Macheda - chi entra in contatto in maniera particolare, soprattutto quelli vigili all'inizio, sono proprio loro e quindi raccolgono anche le preoccupazioni, le confidenze di questi pazienti. Purtroppo in questa ondata i pazienti che abbiamo sono molto critici, hanno dei quadri molto più complessi e anche la mortalità purtroppo è molto alta rispetto alle precedenti ondate". Come superare l'ostacolo? "Le misure che abbiamo messo in atto, per esempio il ritorno all'uso della mascherina e, soprattutto, la vaccinazione è l'unica arma che abbiamo e che ci può far venir fuori da questa situazione. Purtroppo ancora registriamo un numero molto elevato di gente non vaccinata in una fascia d'età che è quella più a rischio dai 50 anni in su. Ci sono intere zone di gente non vaccinata, lo ha detto anche il presidente della Regione, e guarda caso noi abbiamo avuti molti accessi di pazienti provenienti proprio da quelle aree. Per cui - è la raccomandazione finale di Macheda - bisogna vaccinarsi con la terza dose, specialmente chi è paziente fragile perché poi sono quelli che hanno dei quadri gravi e che noi vediamo in terapia intensiva".
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