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Cortese professa
la sua innocenza

L'interno dell'aula bunker di Reggio durante la deposizione di un pentito
Bugiardi, millantatori, falsi. Maurizio Cortese si scaglia contro i pentiti che lo accusano nel processo “Epilogo”. Nell’udienza tenutasi ieri nell’aula bunker del Tribunale (presidente Silvana Grasso), gli è bastato un accenno di domanda per sfogare rabbia ed amarezza «per una serie di accuse ingiuste ed inventate».
Nel mirino di Maurizio Cortese, uno degli imputati principali del processo alla seconda generazione della cosca Serraino, finiscono in rapida successione Vittorio Fregona, Consolato Villani, Marco Marino e Carlo Mesiano. Misurato nella sua replica non le manda di certo a dire. Inizia con Vittorio Fregona: «L’ho pure denunciato per tutte le falsità che ha detto sulla mia persona. Io non l’ho mai conosciuto mentre lui mi vedeva in giro addirittura quando ero ancora in carcere. Faccio addirittura fatica ad indicare la stupidaggine più grossa che ha riferito quando è stato chiamato a testimoniare».
Su Consolato Villani, cugino dei vertici della cosca Lo Giudice e “gola profonda” delle dinamiche criminali del quartiere Santa Caterina, è ancora più furente: «È un invidioso, un viscido, un gran bugiardo. Non l’ho proprio capito, perchè ha riferito soltanto notizie gli facevano comodo. Ci siamo conosciuti quando eravamo dei ragazzini, ancora prima di essere detenuti contemporaneamente nel carcere minorile. Lavoravo nel chiosco della frutta della famiglia Lo Giudice nella Pineta Zerbi. Li conosco tutti, in particolare Maurizio, Luciano, Ulisse e Luca. Nino Lo Giudice soltanto di vista».

 

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