
Già alla fine degli anni Novanta si prospettava l’idea di una super associazione mafiosa a Reggio. Un progetto, che secondo la tesi della Direzione distrettuale antimafia si sarebbe verificato già alla metà degli anni 2000 e costituisce uno dei capisaldi dell’inchiesta “Meta” sostenuta dal pm Giuseppe Lombardo, svelato ieri da Paolo Iannò, dal 2002 pentito di ’ndrangheta dopo una lunga, e prestigiosa, carriera da capo “locale” di Gallico e braccio destro di Pasquale Condello “Il supremo”. Solo negli anni successivi si concretizzerà il progetto di un direttorio di ’ndrangheta a Reggio, con i quattro boss – Peppe De Stefano, Giovanni Tegano, Pasquale Condello e Domenico Libri – a sovrintendere business e dinamiche di mafia nella “Grande Reggio”, l’area che si svilupperebbe tra Villa San Giovanni e Pellaro-Bocale.
Di scena nel processo “Meta”, che si sta celebrando davanti al Tribunale collegiale presieduto da Silvana Grasso, Paolo Iannò si è sottoposto al controesame. Domande a ripetizione da parte degli avvocati Marco Panella e Carmelo Ielo (nell’interesse di Giuseppe De Stefano), Giuseppe Putortì (difensore, insieme a Rocco Tallarida, di Cosimo Alvaro) e Francesco Calabrese (per conto di Pasquale Condello) di fronte alle quali il collaboratore ha rimarcato: «All’interno della ’ndrangheta, con l’accordo di tutti, si può fare qualsiasi cosa. Dall’assegnazione di una carica speciale alle gestione delle tangenti. È necessario però che ci sia un accordo».
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