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Sentenza ribaltata in
Appello: 2 ergastoli

omicidio carabetta

Condannati all’ergastolo Vincenzo Monteleone e Antonino Tripodo, accusati di essere rispettivamente il presunto esecutore materiale e, il secondo, il basista del commando che la notte tra l’11 e il 12 settembre del 1988 ha ucciso Domenico Carabetta. La Corte d’assise d’appello di Reggio Calabria (presidente Bruno Finocchiaro, a latere Maria Luisa Crucitti), accogliendo la richiesta del Pg Francesco Scuderi, ha confermato la condanna a 14 anni disposta nei confronti del collaboratore di giustizia Lorenzo Federico, che ha partecipato all’azione di fuoco, ma ha completamente ribaltato la sentenza di primo grado del processo a carico degli altri due imputati, già mandati assolti dall’Assise di Locri, sui quali da ieri pende una condanna alla massima pena. Il dottor Scuderi, al termine della requisitoria pronunciata dinnanzi ai giudici della Corte d’assise d’appello reggina, aveva concluso per la riforma del pronunciamento dei giudici di primo grado, emesso dalla Corte d’assise di Locri nel giugno del 2011, chiedendo il riconoscimento della responsabilità penale a carico di Monteleone e Tripodo, che insieme al collaboratore Federico hanno avuto un ruolo attivo nell’omicidio dell’allora 22enne Carabetta, originario di Siderno, ucciso per un errore di persona mentre stava salendo sulla propria autovettura dopo aver concluso le proprie mansioni in un ristorante posto sul lungomare di Sant’Ilario dello Jonio. Il sostituto procuratore generale, del resto, aveva sottolineato che la prova della responsabilità penale a carico degli imputati, in particolare Monteleone e Tripodo, considerato che il collaboratore Federico aveva fornito dichiarazioni auto ed etero accusatorie, era comunque da collegare con il narrato fornito dal defunto, già collaboratore di giustiziam Antonino Gullì, ucciso il 4 maggio del 2008 ad appena 40 anni nel rione Modena di Reggio Calabria, dove era tornato a vivere dopo la parentesi della collaborazione con la giustizia. Le dichiarazioni del Gullì, secondo la pubblica accusa, sarebbero quindi una “prova diretta” di quanto è avvenuto in quei giorni di settembre di 24 anni fa, ed andrebbero a riscontrare le affermazioni rese dall’imputato Federico contro gli altri due coimputati Monteleone e Tripodo. Gullì, tra l’altro, aveva dichiarato nel corso dell’incidente probatorio di aver raggiunto la Locride a bordo della propria autovettura per riprendere Monteleone e Federico, che lo avevano interessato con una telefonata avvenuta dopo l’esecuzione del delitto, e li ha riportati a Reggio Calabria a bordo di una Fiat 500. Dalla ricostruzione dell’accusa, Domenico Carabetta è stato ucciso solo perché aveva in uso un’autovettura, un’Autobianchi A112, di colore simile a quella utilizzata da un’altra persona, che sarebbe stato il vero obiettivo del commando, intervenuto – secondo il racconto di Federico – per vendicare l’omicidio di un ristoratore della Locride, avvenuto qualche mese prima. A quasi 25 anni di distanza i familiari della giovane vittima, rappresentati dall’avv. Giuseppe Sgambellone, hanno finalmente ottenuto il riconoscimento quantomeno di una prima verità giudiziaria sul tragico destino del 22enne, apprezzato lavoratore, ucciso per errore. Nel corso del processo d’appello il nutrito collegio di difesa (avvocati Eugenio Minniti e Sandro Furfaro per l’imputato Tripodo, e gli avvocati Basilio Pitasi e Marilena Barbera, questa in sostituzione dell’avv. Francesco Calabrese, nell’interesse di Monteleone; mentre il collaboratore Federico è rappresentato dall’avv. Maddalena Taverna), ha sostenuto la bontà della sentenza di primo grado. Il collegio di difesa, all’esito della riformata sentenza in Appello, ha preannunciato di attendere il deposito delle motivazioni per promuovere ricorso in Cassazione.

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