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Bombe in procura, il racconto del pentito Marino

L'interno dell'aula bunker di Reggio durante la deposizione di un pentito

Più che i contenuti dell’udienza di ieri ha catalizzato l’attenzione di tutti la citazione dei testimoni per la seduta del 24 settembre (la seconda in calendario dopo la pausa estiva). Nel processo “Do ut des”, l’inchiesta che ha messo sotto scacco capi e gregari della famiglia di ’ndrangheta Lo Giudice, sfileranno in aula i magistrati Alberto Cisterna, Francesco Mollace e Francesco Neri. 
Un’udienza imperdibile, oltre che di straordinario interesse mediatico, perchè i tre magistrati sono stati tirati in ballo dall’ex pentito Nino Lo Giudice che ne ha inizialmente delineato un coinvolgimento con la propria cosca, seppure ipotetico ed estremamente fantasioso, per poi ritrattare ogni minima accusa nell’ormai celebre memoriale-shock. 
 Tentenna a lungo il pentito Marco Marino prima di rispondere. Il collaboratore, già condannato all’ergastolo per aver svolto un ruolo nella rapina culminata nell’omicidio della guardia giurata Luigi Rende, chiede di «poter sorvolare», teme di incassare «un’altra denuncia per calunnia come successo nel processo a Catanzaro», si trincera dietro «il non volere compromettere indagini in corso», 

Più che i contenuti dell’udienza di ieri ha catalizzato l’attenzione di tutti la citazione dei testimoni per la seduta del 24 settembre (la seconda in calendario dopo la pausa estiva). Nel processo “Do ut des”, l’inchiesta che ha messo sotto scacco capi e gregari della famiglia di ’ndrangheta Lo Giudice, sfileranno in aula i magistrati Alberto Cisterna, Francesco Mollace e Francesco Neri. Un’udienza imperdibile, oltre che di straordinario interesse mediatico, perchè i tre magistrati sono stati tirati in ballo dall’ex pentito Nino Lo Giudice che ne ha inizialmente delineato un coinvolgimento con la propria cosca, seppure ipotetico ed estremamente fantasioso, per poi ritrattare ogni minima accusa nell’ormai celebre memoriale-shock.  Tentenna a lungo il pentito Marco Marino prima di rispondere. Il collaboratore, già condannato all’ergastolo per aver svolto un ruolo nella rapina culminata nell’omicidio della guardia giurata Luigi Rende, chiede di «poter sorvolare», teme di incassare «un’altra denuncia per calunnia come successo nel processo a Catanzaro», si trincera dietro «il non volere compromettere indagini in corso», 

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