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Faida di Calanna, cinque fermi della Dda

Faida di Calanna, cinque fermi della Dda

La “locale” di ’ndrangheta contesa. Il paesino di Calanna, nel cuore della Vallata del Gallico alle porte dell’Aspromonte, era piombato nel terrore dopo il rientro nelle gerarchie criminali di Peppe Greco, l’ex pentito che aveva rinnegato la collaborazione con la Procura distrettuale antimafia di Reggio puntando a riconquistare la leadership su quel fazzoletto di territorio che era stato gestito dalla sua famiglia anche prima del dominio del padre, don Ciccio Greco, “capobastone” di elevato rango mafioso riconosciuto in ogni angolo della provincia reggina.

Tutt’altro che gradito il ritorno di Peppe Greco, marchiato dalla scelta di “saltare il fosso”, seppure mai devastante, e culminata con un clamoroso passo indietro quando la mattina del 28 maggio 2015 non si presentò in Corte d'Appello a Reggio per testimoniare contro una rete di narcotrafficanti della Vallata che già aveva accusato. Contro di lui il gruppo capeggiato dal cugino Antonino Princi, “u sceriffu”, l’emergente di Calanna che aveva era diventato il nuovo referente delle ’ndrine - «con metodi estorsivi e intimidatori in stile tracotante» rimarcano gli inquirenti - proprio all’indomani del pentimento dell’ex boss. Nascono così i contrasti, le fibrillazioni, gli aut aut e lo scontro armato, bagnato nel sangue, per il dominio della “locale” di Calanna. Prima è Peppe Greco che personalmente prova ad ammazzare Antonino Princi (il 9 febbraio 2016 all’ingresso dell’impianto di trattamento dei rifiuti di Sambatello dove lavorava), graziato dal fato nonostante una scarrellata di fucilate (calibro 12) che gli hanno crivellato l’auto e strappato la camicia, ma lasciandolo miracolosamente in vita dopo una fuga da “far west”. Due mesi dopo (il 3 aprile 2016 in località Sotira di Sambatello), tra vendetta e prova di forza, sarà lo stesso Antonino Princi a ordinare l'agguato che avrebbe dovuto eliminare lo scomodo boss. Una sparatoria all'impazzata, bersaglio proprio Peppe Greco, da cui si è salvato perchè come lui stesso si vanterà in una chiacchierata intercettata dalla Squadra Mobile - «Ma io vinco sempre zia Grazia!.. noialtri i Greco vinciamo!!.. dammi tempo che poi vedi se vinciamo!!..» - ma che invece ha stroncato la vita a Domenico Polimeni, il guardaspalle dell’ex pentito con cui stava chiacchierando sul balconcino di casa convinti di essere fuori dal tiro dei killer.

Una faida intestina per la supremazia su Calanna che è stata stroncata all’alba di ieri dalla Procura distrettuale antimafia di Reggio che ha emesso cinque fermi di indiziato di delitto per omicidio e tentato omicidio (a vario titolo). Quattro sono stati eseguiti - lo stesso Peppe Greco (56 anni), e il fidato Domenico Provenzano “Buccazza” (arrestato a Genova dove si era rifugiato, 21 anni); e i rivali Antonio e Giuseppe Falcone, 45 e 49 anni, due fratelli di Pettogallico, frazione collinare di Reggio a una manciata di chilometri da Calanna - mentre il quinto, sfuggito alle manette, è proprio Antonino Princi, 45 anni, l’obiettivo scampato alla furia omicida di Peppe Greco.

Antonino Princi sarebbe scomparso nel nulla da almeno quattro mesi, diventando di fatto latitante volontario, braccato prima dai nemici della Vallata ed adesso dai segugi della Squadra Mobile di Reggio che gli devono notificare il mandato di cattura.

Le ragioni che hanno indotto Procura e Polizia a disporre i fermi dell’operazione “Kalanè” sono state illustrate in conferenza stampa dal questore di Reggio, Raffaele Garssi, che non ha fatto mistero che il blitz si sia reso necessario «per arginare ulteriori episodi di sangue» nell’area preaspromontana teatro del dissidio mafioso, oltre ai propositi di fuga di tutti i sospetti. Secondo il procuratore Federico Cafiero de Raho, seppure rimarcardo che si tratti di un’indagine altamente indiziaria, la vicenda «è stata ricostruita in maniera approfondita e chiara» a tal punto da rendere inevitabile l'azione. Il capo della Squadra Mobile, Francesco Rattà, ha invece parlato «di una lotta interna per l’ascesa al potere» ingaggiata da Greco e Princi.

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L’intercettazione

Le intercettazioni, telefoniche ed ambientali, hanno fatto luce sulla faida di Calanna. A tradirsi è lo stesso Peppe Greco che sfogandosi con una zia non si da pace di aver fallito l’agguato ad Antonino Princi: «(dialettale: Capiscisti?.. mannaia…u sbagghiai ieu!.. mai n’di sbagghiai unu a marbizzi!!». Aggiungendo: «Come ho fatto a sbagliarlo io.. si è buttato come un cornuto sul sedile a destra.. appena gli sono arrivato.. lui se ne è accorto e si è buttato sul sedile.. dodici scopettate e sei pistolate..». Peppe Greco sa che il clima che si respira a Calanna è pesante, meglio stare chiusi in casa: «Hanno fatto.. eh.. eh.. e sono stato sfortunato!.. ma io non sono rimasto mai indietro!.. sono rimasto indietro io?!.. lui sta nascosto ed io sto nascosto!.. lui non esce di casa.. Eh.. eh.. dentro casa è!.. ficcato dentro!».

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