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Funerali pubblici vietati
Il parroco si rivolge al Viminale

Il questore vieta i funerali in forma pubblica e solenne, dispone che si celebrino all’alba al cimitero, consentendo la partecipazione alle esequie solo dei più stretti congiunti, di un detenuto morto in cella mentre stava scontando una condanna per associazione mafiosa e il parroco di Platì imbocca la strada del ricorso. Non si tratta di una semplice critica o contestazione dell’ordinanza, bensì di un ricorso di natura gerarchica. Come dire: il sacerdote “bussa” ai piani alti chiedendo “giustizia” direttamente al Ministro dell’Interno. In ballo sono chiamati articoli della Costituzione e la presunta violazione del «principio di non ingerenza tra Stato e Chiesa, nell’ambito delle rispettiva sfere di autonomia».

I funerali al centro del ricorso sono quelli di Giuseppe Barbaro, morto giovedì sera nel carcere di Vibo, dove stava scontando un residuo (circa 1 anno) della pena che gli era stata inflitta nei due gradi di giudizio, per poi essere ribadita in quello di merito davanti dalla Cassazione, per associazione mafiosa. Barbaro era stato coinvolto nell’operazione “Minotauro”, un’importante inchiesta coordinata dalla Direzione distrettuale antimafia di Torino, che aveva consentito di colpire duramente le cosche della Locride nella loro terminazione territoriale operativa in terra piemontese. Detenuto in regime ostativo e quindi nella condizione di non poter usufruire di permessi, Giuseppe Barbaro si era visto respingere le diverse istanze presentate dal suo legale di fiducia, l’avvocato Giampaolo Catanzariti, anche al Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria, attraverso il suo legale di fiducia, per potersi curare dalle «serie patologie di cui soffriva».

A decesso avvenuto è scattata l’ordinanza del questore Raffaele Grassi. Un provvedimento che può essere oramai considerato di routine, che viene emesso, per motivi di natura diversa, quando i funerali da celebrare riguardano soggetti in odore di ’ndrangheta.

Nello specifico, don Giuseppe Svanera contesta l’ordinanza in riferimento all’identificazione del luogo dove svolgere i funerali, in quanto ritiene violi «il principio di non ingerenza tra Stato e Chiesa». Lo stesso parroco di Maria santissima di Loreto, cita anche casi di giurisprudenza che, a suo modo di vedere, affermano il principio che «possono essere vietate le funzioni e cerimonie religiose solo se vengono praticate fuori dai luoghi di culto».

Nel ricorso gerarchico, inoltre, si parla di «illegittimo provvedimento e limitazione allo svolgimento dell’ordinario rito funebre». Al di là di tecnicismi e aspetti di natura giuridica, ma spingendosi anche oltre la decisione che verrà assunta in merito dal ministro Angelino Alfano, la sortita di don Giuseppe Svanera, parroco di Platì appare destinata ad alzare un polverone di polemiche e a riportare il piccolo centro della Locride, suo malgrado, alla ribalta della cronaca nazionale. Un parroco che contesta il questore non capita tutti i giorni. Specie su argomenti del genere.

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