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Laureana nelle grinfie
della ’ndrangheta

Laureana nelle grinfie della ’ndrangheta

Erano i padroni di Laureana di Borrello, cittadina di 5.000 anime alle porte di Rosarno nella Piana di Gioia Tauro. Tutto passava dalle mani della ’ndrangheta: gli affari, il narcotraffico, la passione per il calcio, la gestione del Municipio, l’ultima parola sulle relazioni sentimentali. E tutto veniva deciso secondo i voleri delle cosche “Ferrentino-Chindamo” e “Lamari”, un tempo nemici giurati ed oggi in sintonia nel nome del denaro.

Per due anni e mezzo (indagini avviate a giugno 2014) Laureana di Borrello è stata tenuta in un pugno dai boss, che monopolizzavano gli appalti pubblici (anche di poche migliaia di euro), usufruivano di una corsia privilegiata al porto di Gioia Tauro per fare sbarcare le partite di cocaina custodite in container strapieni di cereali, pestando un bidello che aveva osato rimproverare davanti ai compagni di scuola un rampollo dei “Ferrentino”, gambizzando un rivale in amore del capo, devastando l’appezzamento di terreno (macchinari compresi) per punire l’imprenditore che aveva recintato il podere a protezione delle scorribande delle “vacche sacre”; picchiando selvaggiamente due tecnici delle slot machine (uno ha perso la vista da un occhio per le mazzate) perchè stavano verificando la regolarità delle macchinette mangiasoldi allestite in uno dei bar maggiormente frequentati del paese.

Città liberata

Laureana da ieri è più libera, senza rischiare angherie e soprusi. La Procura distrettuale antimafia e i Carabinieri del Comando provinciale di Reggio, con l’operazione “Lex”, hanno disposto 41 fermi (35 in carcere e 6 ai domiciliari) perchè ritenuti responsabili, a vario titolo, dei reati di associazione mafiosa, concorso esterno in associazione mafiosa, porto e detenzione di armi, narcotraffico, estorsione, danneggiamenti, lesioni personali gravi, frode sportiva, intestazione fittizia di beni. Un solo fermo non è stato eseguito (era all’estero).

I prestanome

Contestualmente ai fermi i Carabinieri della Compagnia di Gioia Tauro hanno effettuato sequestri preventivi di società e beni immobili (per un valore di 30 milioni di euro) «riconducibili, tramite intestatari fittizi, alle cosche Lamari e Chindamo-Ferrentino». Ed esattamente: la “Dimasi Costruzioni” (Voghera); “Dima Costruzioni” (Voghera); “Dimafer” (Voghera); la ditta di import-export “United Seed’s Keepers” con sede a Milano e Roma; la “Di.Gi. lavori edili”; la “N.P. Lavori e Costruzioni” di Laureana; la “Demetra”; “Il Quadrifoglio” con sedi di Laureana di Borrello e Feroleto della Chiesa; la società Polisportiva Laureanese calcio; un’edicola a Vibo Valentia; un garage adibito alla vendita di pesce stocco.

Boss e picciotti non operavano solo a Laureana, ma si erano imposti anche in Lombardia (a Voghera Pavia, soprattutto), dove alcuni esponenti della famiglia “Ferrentino” sequestrarono per alcune ore un imprenditore per costringerlo a gestire un’impresa edile in nome e per conto del clan. A Milano, inoltre, ieri mattina è stato perquisito lo studio di un noto penalista ritenuto dagli inquirenti vicino alla cosca.

Schiavitù sociale

«Con questa operazione sembra siamo tornati indietro di mille anni. A Laureana vigeva una “Signoria” assoluta, non gli bastava uno stato di soggiacenza ma volevano la gente in stato di schiavitù» ha commentato amaramente il procuratore di Reggio, Federico Cafiero de Raho. Aggiungendo: «Nell’Italia intera si dovrebbero conoscere i contenuti di questa operazione. Al nord non sapranno dove si trovi Laureana ma dovranno sapere che la ramificazione della ’ndrangheta minaccia casa loro». Alla conferenza stampa hanno partecipato anche l’aggiunto Gaetano Paci, il colonnello Giancarlo Scafuri, il tenente colonnello Vincenzo Franzese, il maggiore Francesco Cinnirella

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